Stefano Lorenzetto, Cuor di veneto, Marsilio, Venezia, 2010, 302 pagine, 19 euro., 7 aprile 2014
PALLINATO CUOR DI VENETO PER IL FOGLIO DEI FOGLI 7 APRILE 2014
Fare soldi per fare soldi per fare soldi, mille fabbriche e nessuna libreria» (Giorgio Bocca negli anni Settanta parlando dei calzolai di Vigevano).
«El veneto el vòl savér far prima de far savér» (Feliciano Benvenuti, giurista, presidente di Palazzo Grassi e della Fondazioni Cini).
Il veronese Ruggero Bauli a nove anni era piccolo di bottega da Bertoldi, in piazza delle Erbe, alle 13 fu mandato a Tione, in Trentino, per fare le paste, poco dopo andò a cercare fortuna in Argentina.
Luciano Benetton a dieci anni perse il padre Leone, che manteneva la famiglia vulcanizzando copertoni di bicicletta. «Ancora adesso, davanti a un vassoio di paste, non scelgo quella che mi piace di più, ma la più grossa. Come da bambino, quando bisognava badare soprattutto a riempirsi la pancia».
«Gli anziani li accudiscono le badanti moldave, i clienti nei ristoranti li servono le cameriere slave, i cibi li preparano i cuochi maghrebini, le capricciose le infornano i pizzaioli egiziani, i piatti li lavano gli sguatteri senegalesi, i palazzi li costruiscono i rumeni, i muri li imbiancano gli ucraini, il latte lo mungono i sikh, i formaggi li fanno gli etiopi, gli agrumi li raccolgono gli ivoriani, le piante nei giardini le mettono a dimora gli indiani, i bar li gestiscono i cinesi, gli appartamenti li tengono in ordine i filippini e i singalesi, le pelli le conciano i ghanesi, i pacchi dei corrieri li recapitano i peruviani. Nel contempo due milioni di italiani si dichiarano disoccupati» (Stefano Lorenzetto).
A che età s’è scoperto erotomane?
«A 12 anni. Non mi ricordo se era il culo della Emilietta o di un’altra delle tre donne di servizio, tutte bellissime, che avevamo ad Asolo, dov’eravamo sfollati per la guerra. Le infilavo una mano nelle mutande mentre mi puliva le scarpe. “Ma no, signorino, cosa fa?”. Tasi, tasi, continua a lustrare» (Tinto Brass).
Lei considera il suo membro «perfetto, misure comprese», ma lo trova «un po’ ridicolo quando è a riposo». Immagino che faccia di tutto per mantenerlo serissimo.
«L’importante è che resti conforme all’aurea regola che ho imparato nei casini».
Vale a dire?
«Non lungo che tocchi, non grosso che tappi, ma duro che duri» (Tinto Brass).
Flavio Contin, El Vècio dei serenissimi che il 9 maggio 1997 espugnarono il campanile di San Marco. Che cosa vi ripromettevate con l’assalto al campanile?
««Di esaltare la vera storia veneta, quella che ho studiato sui libri di Ivone Cacciavillani e Alvise Zorzi. La devono piantare di paragonare Venezia alle repubbliche marinare di Genova, Pisa, Amalfi. Il Veneto era un grande Stato sovrano europeo».
Come pensava che sarebbe finita?
«Due fatti avevo previsto: la reazione rabbiosa dello Stato italiano e il comportamento di Bossi. Il quale prese subito le distanze affermando che eravamo pilotati dai servizi segreti. Pura gelosia. Ma può mettersela via: i veneti saranno sempre superiori ai celti» (Flavio Contin).
Stevio Costantini, detto Marmelàta, gondoliere, figlio di gondoliere e padre di gondoliere. Tinto Brass dice che la gondola è un’alcova.
«E casa sua xe un casìn!».
Guardi che mica s’offende.
«Io con i ragazzi sono molto chiaro: dève basi, disève parole, ma tutto finisse là. Comunque al giorno d’oggi no’ i xe tanto distanti dal far l’amore in gondola. I xe come un octopus, i ga ’e man dapartùto. Ho portato tre coppie, due etero e una no, sotto il ponte dei Sospiri. Be’, i do gay fasea léngoa in boca più de ’st’altri quatro».
Quello dei veneti imbriagòni è uno stereotipo o una realtà, a suo parere?
«Uno stereotipo. Sono anni che non vedo uno sbronzo per strada».
Eppure la Sicilia, prima regione vitivinicola d’Italia, non ha la brutta nomea del Veneto.
«Solo perché i siciliani parlano meno» (Cesare De Stefani, l’oste dell’Osteria senza oste sul colle di Cartizze, oltre la linea del Piave. La sua osteria è sempre aperta, ci si serve da soli, si mangia e ci si fa il conto, sempre da soli, lasciando i soldi in una cassettina di legno su cui è scritto: «L’Onesta lascia il segno»).
Mi dicono che molti allevatori tengono i maiali al buio e li nutrono versando litri di clintòn nel pastone.
«Mai saputo. Nella mia azienda laviamo due volte le budella con aceto di Prosecco prima di insaccare: è antisettico e dà sapore. Il vino si mette nell’impasto di maiale e pepe, perché facilita l’acidificazione. Ogni 100 chili di macinato, noi aggiungiamo un litro di brulé con Cartizze, cannella e chiodi di garofano, ovviamente dopo averlo raffreddato» (De Stefani, titolare anche di un salumificio che porta il suo nome e oste dell’Osteria senza oste).
«I casùn nacquero durante le invasioni barbariche: gli abitanti si rifugiarono sulle isole per salvarsi dagli Unni di Attila. Da allora i casoni sono rimasti uguali, con la porta rivolta verso Sud e le tamerici piantate attorno per difenderli dalla bora».
Quanti sono?
«Più di un centinaio sparsi su 52 isole. Il Comune li affida in concessione di nove anni in nove anni ai nativi del luogo» (Witige Gaddi, che ha un casone in Laguna di Grado).
Witige Gaddi nel suo casone di Laguna di Grado ha ricevuto Pier Paolo Pasolini, Claudio Magris, Ranieri di Monaco, Cesare Romiti, Roman Polanski, Ermanno Olmi, Richard Gere, Vasco Rossi ecc. L’unico che ha respinto è Enzo Biagi: «Niente di ideologico, pace all’anima sua. È che pretendeva il pesce lesso senza oio e senza limòn. E solo acqua minerale. Ma va’ a Barbana, gli ho detto», che sarebbe il santuario dei frati sull’isola vicina.
Si guadagna bene a disegnare ragazze nude?
«Disegno anche per beneficenza. Ogni tanto le suore dell’asilo di Sant’Ambrogio mi chiedono qualcosa. È un mestiere faticoso, bisogna prestare molta attenzione ai particolari. La donnina erotica deve avere uno sfondo impeccabile» (Milo Manara).
Marco Rinaldi, precettore. L’unico in Italia che si qualifichi così (con tanto di sito web). La sua tariffa minima è di 40 euro l’ora: «Ma per una lezione privata di galateo arrivo a 120». La prima regola che impartisce all’alunno: «Meno ci si fa notare e meglio è».
Che differenza c’è tra un precettore e un insegnante che dà ripetizioni?
«Le ripetizioni non contemplano l’arte di vivere e neppure tutte le materie che presidio io. Il mio compito è insegnare anche regole non scritte».
Tipo?
«Come vede, oggi indosso una camicia botton-down. È un abbigliamento informale. Ma al Circolo della caccia di Roma me lo farebbero notare. Le punte del colletto chiuse da due bottoncini là non sono ammesse» (Marco Rinaldi, precettore).
Riuscirebbe a vivere in un’altra città?
«No, nel modo più assoluto. Un sacco di volte mi hanno proposto di trasferirmi a Milano. Impossibile. Detesto la velocità e le auto. Quindi considero un privilegio poter attraversare a piedi piazza San Marco alle 7 di mattina, quando appartiene ancora ai veneziani. A quell’ora non si trova un turista in tutta Venezia. Sono pigri, i turisti» (il fotografo Fulvio Roiter).
«Ho trovato pezzi di baionetta, calci di fucile, rasoi, forbici, gavette, tabacchiere e ossa, tante ossa, sparse nelle fosse comuni. In guerra non c’era il tempo per seppellire le salme» (Antonio Scrimali, che da sessant’anni batte palmo a palmo il Carso alla ricerca dei resti dei morti della Grande Guerra. Ha inventariato 1.700 tra lapidi e cippi).
Statisticamente i maestri vetrai di Murano muoiono sempre ad agosto. Succede dal 1291, da quando il doge Pietro Gradenigo li obbligò a lasciare Venezia.
Come nasce il vetro?
«Si mescolano nel forno di fusione silice, sabbia, carbonato di sodio, carbonato di potassio, nitrato di sodio, nitrato di potassio e calce. Ognuno dei sei crogioli ha un colore diverso».
Ottenuto come?
«Per il blu ci vuole il cobalto, per il verde si usa il rame. Selenio e cadmo danno il rosso. Il rubino nasce dall’oro zecchino liquefatto in acqua regia e poi essiccato» (Gino Seguso, vetraio di Murano, figlio di Archimede, considerato il più grande artista del vetro del Novecento).
Quante vetrerie sopravvivono a Murano?
«Una sessantina, con circa 2.000 dipendenti. Ormai l’isola conta meno di 5.000 abitanti. Appena finita la Seconda guerra mondiale eravamo più del doppio».
Che è successo?
«Le case costano come a Venezia, ma la vita qui è assai più complicata. Le nuove generazioni se ne sono andate in terraferma a studiare. Nessun maestro vetraio voleva che i figli rimanessero in fornace. Tutti in banca per non sporcarsi le mani» (Gino Seguso).
Immigrati che vengono a chiedere un posto ce ne sono?
«Più che altro vengono americani e francesi per imparare. I cinesi invece vengono per copiare. Io non li prendo. Lo straniero arriva dove si libera un posto. In natura i vuoti si riempiono e qui abbiamo le culle vuote» (Gino Seguso).
Ogni anno Giulietta, il personaggio di Shakespeare, riceve 4.000 lettere, 2.000 email e 30.000 messaggi allo scrittoio telematico che si trova presso la Casa di Giulietta a Verona.
Che indirizzo mettono sulla busta?
«Di solito “Giulietta, Verona, Italy”. C’è un codice muto delle Poste mondiali. Le lettere arrivano tutte qui lo stesso» (Giulio Tamassia, il segretario di Giulietta che risponde alle lettere spedite da ogni parte del mondo).
Notizie tratte da: Stefano Lorenzetto, Cuor di veneto, Marsilio, Venezia, 2010, 302 pagine, 19 euro.