Simonetta Robiony, La Stampa 7/4/2014, 7 aprile 2014
FERRETTI: SPETTACOLO SUI MIEI RICORDI
Dante Ferretti, il nostro scenografo più famoso, cinque candidature e tre premi Oscar oltre a una infinità di altri riconoscimenti, ha già fatto tutto: film italiani e americani, opere liriche, allestimenti museali, collaborazioni a mostre, ma il drammaturgo no, questo non l’aveva mai fatto. Fino a oggi: è infatti in scena prodotto dalla Fondazione Alda Fendi e ideato e diretto dall’amico regista Raffaele Curi, Oceano Adriatico, spettacolo di ricordi, emozioni, suggestioni, pensieri di Ferretti. Lo spettacolo ripercorre, con pezzi di filmato e scene recitate, pezzetti di vita di Ferretti all’insegna di una frase che ne è anche il simbolo: «Ho messo l’infanzia in tasca e vado avanti», quello che il nostro scenografo ha fatto e fa nella sua vita caotica, piena di impegni e lavori, descritti con la semplicità di un artigiano, un dono ormai sempre più raro.
Dunque, Ferretti, per una volta recita?
«Per carità, faccio lo spettatore. Fortunatamente la mia brutta faccia di vecchio si vede pochissimo nel filmato: al posto mio Curi ha scelto un bambino, bellino assai. E mi fa piacere».
Allora cosa c’è di suo inOceano Adriatico?
«I ricordi. La vita a Macerata. I tanti film visti la mattina quando saltavo la scuola dove andavo malissimo. I soldi che rubavo dalle tasche di mio padre per comprare il biglietto. Le estati passate su una panchina, con gli amici, a sbirciare le pellicole da un finestrone basso che ce le faceva vedere a metà. Il mare che non è l’oceano ma che è sempre segno di libertà e di futuro».
Cosa l’affascinava del cinema?
«Quello che sta intorno agli attori. Tutti i ragazzini vorrebbero diventare un divo. Io no. Volevo lavorare a costruire un film, ma non sapevo come fare. Un conoscente mi spiegò cos’era la scenografia. Da allora la mia vita è cambiata».
E infatti, a 18 anni decide di trasferirsi a Roma all’Accademia di Belle Arti, dove parte la sua fantastica carriera. Otto film con Pasolini, cinque con Fellini, otto con Scorsese....
«A Fellini che mi voleva subito dopo Satyricon gli chiesi di aspettare dieci anni: lo adoravo ma avevo paura che se avessi sbagliato qualcosa, sarei stato rovinato per sempre».
Di Pasolini non aveva paura?
«No. Ci capimmo subito».
E di Scorsese?
«È un uomo buono e generoso, Martin, anche se gira spesso film duri e crudeli. Adesso parto per Taiwan dove sono già andato tre volte per i sopralluoghi: presto Scorsese comincia a girare Silence, la storia di un gruppo di gesuiti che nel 600 pensavano di convertire al cattolicesimo i giapponesi e invece finirono crudelmente uccisi dai giapponesi disposti a tutto per difendere la loro identità».
L’ultimo film di Scorsese con Di Caprio, però, non l’ha fatto lei?
«E no, ero già impegnato con Silence: ci vogliono anni per far bene le cose».
Non c’era troppa cocaina?
«Ma quale cocaina! Era borotalco».
Progetti italiani?
«Ho detto di sì all’Expo di Milano. Mi occuperò di una strada».
Che c’è di bello in una strada?
«Non potevo tirarmi indietro: l’Expo è una grande occasione per l’Italia. Possiamo far vedere tutto quello che siamo capaci di creare, mica solo mozzarelle! Ho immaginato delle enormi statue, di quattro, cinque metri ispirate all’Arcimboldo, quel pittore che faceva ritratti con frutta e ortaggi. Farò lo stesso».