Fabio Monti, Corriere della Sera 7/4/2014, 7 aprile 2014
TRAPATTONI, UN FISCHIO IN PANCHINA CON FEBBRE A 40
MILANO — Tutto è cominciato all’aeroporto di Linate domenica 7 aprile 1974. Quarant’anni fa. «Fulmine» Conti, allora factotum del Milan, va ad accogliere Giovanni Trapattoni, in rientro dalla Germania, dove è andato a visionare il Borussia Moenchengladbach, avversario dei rossoneri tre giorni dopo, nella semifinale di andata di Coppa delle coppe e gli dà l’annuncio: «Andiamo a casa del presidente», che è Buticchi. In una situazione difficilissima (Rocco se n’è andato), «Maldini si è dimesso stasera», dopo cinque sconfitte consecutive, l’ultima, qualche ora prima, con il Verona (2-1). Il presidente annuncia a Trapattoni che sarà lui l’allenatore del Milan. Il Trap in panchina è già stato, come vice di Rocco e al posto di Rocco, squalificato. Però quella contro i tedeschi è l’investitura ufficiale, la prima volta da «capo allenatore» e l’esordio coincide con una partita di grande spessore: 2-0 al Borussia, che al ritorno vincerà soltanto 1-0. In finale, il Milan perde contro il Magdeburgo (2-0) e l’anno dopo, Trapattoni sarà di nuovo il secondo, per tornare a guidare i rossoneri in proprio nell’ottobre 1975: Buticchi ha lasciato, Rivera ha preso in mano la società. Trapattoni chiude al terzo posto, ed è un grande risultato, alle spalle del Torino e della Juve. Ormai ha capito quale sarà il suo mestiere. E quando gli viene prospettata l’idea di fare il vice di Marchioro, decide che è venuto il momento di correre da solo.
Ha la possibilità di firmare per il Pescara o l’Atalanta, ma arriva la telefonata di Boniperti. Lo vuole alla Juve, al posto di Parola, perché il sorpasso granata rende obbligatorio il cambio. I due si trovano a Novara; si conoscono dai tempi della nazionale; parlano a lungo; si spiegano. Trapattoni firma. E forse gli tornano in mente le parole di Rocco, il suo maestro: «Giovannino mi parla sempre di diagonali e di bisettrici, ma il calcio è una cosa semplice». Ma la svolta improvvisa lo porterà a dire, nel giorno del suo 70° compleanno: «Della mia vita non posso lamentarmi; ho lavorato molto; ho avuto anche tanta fortuna e ho capito che bisogna volare basso, perché inseguiamo un pallone che è pieno d’aria». Nell’estate ‘76, in zona milanista gira una battuta velenosa: «Non si vede perché Trapattoni abbia preferito fare il vice di Boniperti piuttosto che il secondo a Marchioro». Arrivano Boninsegna (per Anastasi) e Benetti (per Capello). Il «vice» di Boniperti ci sa fare, e lo dimostra a San Siro (7 novembre 1976), proprio contro il Milan: da 2-0 per i rossoneri a 3-2 per la Juve. Al primo anno, maggio 1977, vince Coppa Uefa (a Bilbao) e scudetto (a Genova). È solo l’inizio di un decennio con 6 scudetti e 7 coppe.
È una simbiosi perfetta: la Juve cresce con il Trap e il Trap cresce con la Juve. Stravede per lui anche l’avvocato Agnelli, che gli riconosce serietà, competenza, correttezza nei rapporti, voglia di lavorare, attenzione ai particolari, capacità di motivare il gruppo. Da Prandelli, che fa la riserva, a Platini, passando per Furino, Bettega, Tardelli (gli cambi subito ruolo, da terzino a centrocampista), Gentile, Scirea e Boniek, il Trap sa sempre come muoversi e come muovere i suoi campioni, anche se non tutto è in discesa. Deve lottare con chi lo accusa di essere un difensivista e di predicare un calcio superato, mentre imperversa la «zona» di Liedholm nella Roma campione d’Italia (8 maggio 1983). È il mese della caduta di Atene (25 maggio) contro l’Amburgo. Ma non è quello il momento di lasciare la Juve e non solo perché il giorno dopo l’Avvocato gli dirà: «Ci hanno insegnato a leggere e a scrivere, ma è passata. Andiamo avanti».
Nell’aprile 1986, sceglie l’Inter, dopo l’ultimo scudetto con la Juve. È la sfida più difficile, in una squadra che non vince il campionato dal 1980 e nel momento in cui irrompe in rossonero il tornado Berlusconi. Al terzo anno, conquista lo scudetto con record di punti (58), davanti al Napoli di Maradona e al Milan degli olandesi e nel 1991 consegna all’Inter una coppa internazionale (Uefa), dopo 26 anni. Il ritorno a Torino non è felicissimo, però arriva un’altra Coppa Uefa e, dopo il ribaltone in società, nel 1994, inizia l’avventura del Trap all’estero. Lo ingaggia il Bayern; un anno, prima di tornare n Italia, a Cagliari e di riprendere la strada per Monaco, dove vince Bundesliga e Supercoppa (1997), litiga con Strunz, porta a casa anche la Coppa nazionale (1998). Lo chiama la Fiorentina e sfiora lo scudetto (1999), prima del quadriennio in nazionale. La partita con la Corea del Sud, al Mondiale 2002, quello dell’acquasanta, lascia il segno nel suo inguaribile ottimismo, perché si rende conto che il calcio non è così bello come ha sempre voluto pensare e non può certo sorridere, quando l’arbitro Moreno finisce in galera. O quando l’Italia esce dall’Europeo 2004 per il biscotto fra Svezia e Danimarca. Riparte dal Benfica ed è subito scudetto; torna in Germania (Stoccarda), ma viene esonerato; riparte dal Salisburgo, ed è un’altra volta scudetto (2007). Dal maggio 2008, è il c.t. dell’Irlanda e lì, oltre ad una straordinaria popolarità, capisce che si può anche perdere un playoff, per un colpo di mano (francese) visto da tutto lo Stade de France, ma non da un arbitro svedese (18 novembre 2009). Ha lasciato l’Irlanda a ottobre 2013, dopo aver portato la squadra alla fase finale dell’Europeo e aver mancato la qualificazione al Mondiale in Brasile. Ma molto presto tornerà in panchina da c.t. di una nazionale africana (Algeria, Marocco o Costa d’Avorio). A 75 anni (23 trofei in bacheca), non guarda alla pensione, «perché la forza dell’uomo è nel futuro. Conta avere entusiasmo, coraggio, voglia di fare e di crescere». Il fischio del Trap compie 40 anni. La storia continua.
Fabio Monti