Paolo Russo, La Stampa 7/4/2014, 7 aprile 2014
FUMO, GUERRA DELLE LOBBY IN PARLAMENTO
Da qualche mese negli uffici di onorevoli e senatori è tutto un via vai di lobbisti del tabacco. Visite private alle mostre d’arte più «in» del momento, cocktail ultra chic, slide di studi apparentemente indipendenti ma in realtà commissionati da qualche multinazionale delle bionde. È la nuova guerra del fumo, che vale 18,4 miliardi di euro, sempre più erosi dalla crisi e dai fumatori in crisi di coscienza, stritolati tra il vizio e le campagne anti fumo martellanti. Ma in questa battaglia i signori delle «bionde» marciano divisi. Quello che si sta giocando in questi giorni, in attesa che il governo rimetta mano alle accise sul tabacco con i decreti attuativi della delega fiscale, è infatti un vero e proprio derby. Da un lato la Philips Morris, che schiera un brand fortissimo come Marlboro, che da solo vale un quarto del mercato. Loro ai parlamentari si presentano con una richiesta apparentemente incomprensibile: aumentate pure le accise sul tabacco, ma per tutti, riallineando la tassazione che, dopo una battaglia condotta a colpi di ricorsi e sentenze, ha visto alla fine i Monopoli applicare un’accisa più bassa per le sigarette low cost, quelle dai 4 euro a pacchetto in giù. Una mossa, a dir la verità, da Stato-Tafazzi, perché alla fine i consumi si sono in parte trasferiti dai pacchetti di lusso a quelli «low», con una perdita netta di 600 milioni per l’erario. E neanche a dire che ne abbia guadagnato la salute degli italiani, visto che il consumo di bionde non è affatto diminuito ma si è solo spostato su quelle meno costose. «Tutti gli studi internazionali che ci sono stati presentati in audizione alla Camera dimostrano che con il diminuire dei prezzi aumentano i consumi e viceversa», conferma Ernesto Carbone, Pd, in commissione finanze. Il quale ammette: «da mesi i nostri uffici sono presi d’assalto dai lobbisti del fumo in guerra tra loro». Si, perché alla squadra della Philips Morris si contrappone quella composta dalla British American Tobacco (Lucky Strike e Dunhill), la JTI, ovvero Japan Tobacco International (Camel) e la Imperial (Gauloises e Rizla), che fa pressing perché nessuno tocchi le accise, avendo un mercato che si è avvantaggiato con il fisco più leggero sulle low cost. A dicembre l’università confindustriale, la Luiss, si è presentata in audizione alla Camera con uno studio che dimostrava il vantaggio economico per lo Stato derivante da una tassazione più leggera sui pacchetti economici. Peccato che lo stesso studio qualche parlamentare lo abbia ritrovato su Google, ma come commissionato dalla JTI.
In tutto questo i produttori di sigarette elettroniche rappresentati dall’Anafe, combattono la loro battaglia per non veder aumentare del 58% la tassazione sulle e-cig, tifando segretamente per chi propone allo Stato di far cassa aumentando e livellando le accise sulla bionde.
Una guerra senza esclusione di colpi, dove fino ad oggi a rimetterci è stato l’erario e a guadagnarci il contrabbando. Nel 2012 la sua quota di mercato era esplosa, lambendo il 10%, per poi riscendere nel 2013. Ma probabilmente solo perché il mercato illegale delle bionde sta cambiando volto. L’Agenzia delle Entrate è a conoscenza di pacchetti di contrabbando, con bollino dei Monopoli contraffatto, in vendita negli scaffali delle tabaccherie.
A spaventare i grandi player del tabacco è però soprattutto l’esercito dei fumatori pentiti o in via di pentimento. Per questo Jti è andata a giocare in trasferta, nel campo delle e-cig, però con un prodotto più simile alla sigaretta tradizionale. E la Philips Morris è andata oltre. Dal 2015 investirà mezzo miliardo per realizzare vicino Bologna una sigaretta un po’ più piccola di quella convenzionale, con cialde di vero tabacco che viene scaldato da un apparecchio elettrico, senza però combustione. Quella che fa sprigionare oltre 4mila sostanze cancerogene in una normale bionda. Forse per una volta business e salute possono non fare a pugni.