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 2014  aprile 05 Sabato calendario

HONDA D’URTO

Quando un italiano pensa a un giapponese pensa a una persona educata, professionale, che lavora molto e ha l’ossessione della compostezza. Keisuke Honda è educato, professionale, lavora molto e ha l’ossessione della compostezza. Tenta vagamente di rompere lo stereotipo quando racconta che i giapponesi amano ridere, e ci sono tantissimi programmi comici molto popolari. «Però anche i comici quando finisce il programma tornano seri. Lavorano sodo per far ridere la gente». Ecco.
Keisuke Honda ha già richiamato sul Milan l’interesse di un paio di aziende giapponesi che versano nelle casse rossonere due milioni di euro l’anno. Ha fatto vendere tante maglie e non si secca se qualcuno lo giudica un fattore di business prima ancora di un giocatore tecnicamente valido. «Perché dovrei seccarmi? Voglio aiutare il club in ogni modo. Se faccio fare soldi al Milan sono molto contento, ma mi pare che per il momento non sia così semplice».

E’ arrivato in un periodo complicato: in questa stagione i risultati sono così così, e allo stadio c’è poca gente.
«Non so giudicare l’atmosfera, io San Siro l’ho sempre visto com’è ora, ma spero che se giocheremo meglio verrà più gente. Giocare un bel calcio e richiamare tifosi allo stadio è una delle mie ambizioni. Quanto ai risultati, nessuno di noi è soddisfatto, ma il nostro è un lavoro di crescita continua. Sapevo che avrei trovato delle difficoltà al Milan, ma ho scelto questo club perché lo sognavo da sempre».
Qualche settimana fa, gli ultrà hanno chiesto un confronto con i suoi compagni: lo trova normale?
«Non penso sia normale, ma posso capire lo stato d’animo dei tifosi in quella situazione. Probabilmente se giochi male è logico che chiedano delle spiegazioni».

Come sarà vivere un anno senza Champions League?
«Non lo so, ma credo che potremmo giocarla fra due stagioni. E ora bisogna concentrarsi sull’Europa League, che è un traguardo importante».

In Italia si pensa che per ricostruire un club e avviare un ciclo sia meglio stare un anno fuori dall’Europa piuttosto che giocare un torneo spesso snobbato.

«Non sono d’accordo. Per migliorare bisogna giocare, più partite ci sono meglio è, soprattutto per un club che ha tanti giocatori bravi da mettere in campo. Siamo professionisti e dobbiamo essere preparati per giocare due partite la settimana, ma se non riusciremo a raggiungere l’Europa League dovremo prendere il lato positivo della situazione e concentrarci sul tempo in più per allenarsi. Però giocare tante partite è meglio».

Che cosa pensa dell’atteggiamento dei media italiani nei suoi confronti?
«Le critiche non mi fanno piacere, ma voi siete liberi di scrivere. Io sento che presto arriverà il primo gol in serie A e sarà un momento importante. Sono molto determinato: sono venuto per diventare campione con il Milan».
E’ una strada lunga...
«Lo so, ma qui c’è un grande progetto e i giapponesi sono persone pazienti».
Serve pazienza anche dal punto di vista tattico: in Giappone dicono che lei non gioca nel suo ruolo.
«Parlo spesso con Seedorf, col suo ottimo inglese è facile comprendersi. Soprattutto all’inizio non capivo tante cose, allora andavo nella sua stanza per approfondire dettagli».
Adesso capisce meglio?
«All’inizio a destra non mi sentivo a mio agio, ma in mezzo c’è Kakà, che sta giocando bene, e io devo trovare il mio spazio. Adesso va un po’ meglio rispetto alle prime partite. Certo, il centro è la mia casa: mi è capitato di giocare a destra in nazionale e nel Cska, però amo stare dietro la punta. Seedorf invece dice che ho le qualità per giocare a destra e ai giocatori capita di doversi adattare. Abbiamo filosofie differenti, l’importante è dialogare, e noi parliamo tanto, tutti i giorni».
Ha detto che avete filosofie differenti. La sua qual è?
«Diciamo che c’è il calcio di contropiede e quello che si basa sul possesso palla. Tutto dipende dalle preferenze del tecnico, ma sapersi abituare alle necessità della società è importante».
Chi l’ha aiutata nell’ambientamento?
«A Milanello sono tutti bravissimi, lo staff è eccellente. Fra i miei compagni, tanti mi hanno aiutato: Kakà traduce quando non capisco qualcosa, Bonera, Abate e Montolivo mi danno consigli. E’ tutto importante per un adattamento più veloce».
Lei a volte ha abbracciato Balotelli in campo: un’intesa che fa impressione, siete così diversi...
Keisuke dà un’occhiata alla sua giacca impeccabile, al doppio orologio (uno sincronizzato sul fuso giapponese) e alla cravatta, e sorride. «Siamo differenti nella scelta degli abiti e nello stile di vita, ma in campo siamo uguali e possiamo lottare e ridere insieme. Mario con il suo carattere ha regalato tante emozioni agli italiani».
Lei tiene molto alla privacy: trova che qui la rispettino a sufficienza?
«Non posso ancora giudicare, abito in Italia da tre mesi e non esco molto. Comunque Milano mi piace, soprattutto mi piace il Milan».
Ha patito il cambio di allenatore appena arrivato in Italia?
«Non è stata una situazione facile, però sono cose che fanno parte della vita di un calciatore».
Il suo c.t. Zaccheroni è diverso da Seedorf, ha più esperienza e meno facilità con le lingue. Com’è il vostro rapporto?


«Molto buono, abbiamo un buon traduttore. Zaccheroni è un bravo allenatore e ho imparato tante cose lavorando con lui».
Le pesa non essere il numero uno, la star della squadra?
«Neppure in nazionale o a Mosca ero il numero uno. Il calcio è uno sport di squadra».
Ha sulle spalle le aspettative di una nazione intera: è complicato?
«A me le pressioni piacciono, mi piacciono le grandi aspettative. Sono così di carattere».
Giocherà il derby contro l’altro giapponese di Milano, Nagatomo. Una partita eccitante per i tifosi giapponesi...
«Una partita eccitante per tutti, spero. Ma so che giocando contro Yuto dovrò correre molto forte».
Lei dice che i giapponesi sono pazienti: i tifosi italiani invece sono abbastanza pazienti con lei?
«Non mi aspettavo pazienza: ho scelto la maglia numero dieci, sono stato presentato in grande stile. So che la gente si aspetta molto da me. Ma io ho fiducia in me stesso, e le critiche non mi smontano mai».