Beppe Severgnini, Corriere della Sera 7/4/2014, 7 aprile 2014
LE LUCI DI MILANO, LE SPERANZE DEL PAESE
Diciotto milioni di euro solo per aperitivi e cene. Non è, per fortuna, il supremo, vergognoso eccesso di qualche Consiglio regionale. È la somma che verrà spesa a Milano durante il Salone del Mobile (9-14 aprile), e va ad aggiungersi ad altri dati strabilianti, in questo momento economico: 730 eventi in programma, 300 mila visitatori attesi, oltre 160 milioni di euro in arrivo per alberghi e alloggi in affitto. Salone del Mobile è un nome riduttivo. Poiché non si può cambiare, eliminiamo la preposizione: Salone Mobile. In fondo, da anni, scuote e mobilita la città. E come la festa di Hemingway, impreziosita dallo stesso aggettivo, segna uno scarto d’umore. Se Milano, negli anni Dieci del XXI secolo, trovasse l’energia di Parigi negli anni Venti del XX secolo, l’Italia cambierebbe passo. Le due cose — umore e passo — vannoinsieme, infatti. Nonsi può correre tristi.
La città di Milano ha una forma a ruota: il suo destino è muoversi. Il Salone (del) Mobile, come il recente BookCity, non è solo un’occasione di esperimenti, incontri, condivisione e aperitivi. È, a sua volta, l’aperitivo del grande banchetto che verrà, ed è sempre più vicino: Expo 2015, dedicato all’alimentazione. I ritardi — quanti giorni buttati, da quel 31 marzo 2008, quando Milano ottenne di poter organizzare l’evento! — devono convincerci a raddoppiare gli sforzi. Possiamo rinunciare alle Vie d’Acqua, all’Orto Planetario e a qualche stazione della metropolitana: alla faccia, no. Nuovi scandali come quelli che hanno colpito Infrastrutture Lombarde — era così difficile prevedere che certe pessime abitudini amministrative non fossero scomparse? — sarebbero devastanti. Milano non li merita e non li vuole. Milano è «una città di slanci, temperati da un garbato scetticismo» (Alberto Savinio). Oggi, come altre volte nella storia recente, le è venuta la voglia di scuotersi. Il Salone (del) Mobile è l’occasione perfetta. Perché non è il ritrovo annuale di un’industria e alcuni mestieri (design, architettura, arredamento, illuminazione): è la festa della città aperta. E Milano, quando si apre, respira e fiorisce. Quando si chiude, sospira e appassisce. Il successo — perfino eccessivo, secondo gli albergatori — degli «affitti brevi», e lo scambio frenetico di divani e letti attraverso siti dedicati, è più di un fenomeno di moda. È una novità che sembra fatta apposta per Milano, città pratica, frettolosa e generosa. Altre città d’Italia sono, indiscutibilmente, più spettacolari: Roma, Venezia, Firenze. Ma, affaticate dal turismo, vivono l’afflusso di massa come un’invasione. Milano, invece, somiglia a Genova e Torino: avere il mondo in casa è una novità, e regala energia. Raramente questi scatti sono segnati dalla politica; più spesso, dall’economia. «Io capovolgo Milano e voi affrettatevi a raccoglierne il contenuto in una busta di pelle nuova nuova: ecco, sono gli affari», scriveva Giuseppe Marotta in uno dei più affettuosi ritratti della città (A Milano non fa freddo , 1949). In sessantacinque anni è cambiato molto: questo no, e lo vedremo nei prossimi giorni. La temperatura di Milano dipende dal cuore, ma si misura intorno al portafoglio. Non sottovalutatela: è una febbre allegra, e riscalderà l’Italia.