Gianni Clerici, la Repubblica 7/4/2014, 7 aprile 2014
FOGNINI DA RE SPINGE L’ITALIA IN SEMIFINALE 16 ANNI DOPO
NEL momento in cui i miei colleghi inglesi, preoccupatissimi per le condizioni fisiche di Andy Murray, distoglievano lo sguardo dal mio informatissimo notes statistico, mi sono ritrovato ad intonare “o’ surdato ‘nammurato”, insieme a qualche centinaio di spettatori entusiasti per gli eroismi di Fognini.
Devo confessare che il mio entusiasmo non raggiungeva la sonorità di un gruppetto carnevalesco di imparruccati tricolori che, tra la prima e la seconda palla di servizio suggerivano addirittura allo scozzese “looser, looser” e cioè “perdente, perdente”, senza rendersi conto di far torto a Fognini, che continuava a mostrare, con intenta correttezza, le qualità opposte, quelle di un vincente molto positivo.
L’avevo incontrato, Fognini, su un divanetto del bar di questo antico club prima della partita. Aveva già un’aria intenta, tanto che - vergogna - non mi ero reso conto di una donna che gli sedeva al fianco, sinchè, mentre si sollevava a regalarmi due bacini sulle guance, avevo sentito il profumo di Flavia Pennetta. «Spes ultima dea» si era affrettato a mormorare Fabio, trovandomi d’accordo, certo per ragioni meno istintive. Ricordavo che, pur decorato con le rosse medaglie di semifinali al Roland Garros, Montecarlo, Roma, Andy non poteva dirsi uno specialista della terra, al contrario del nostro eroe. E, per giunta, un campo appena allestito, volutamente lento, aveva raggiunto grazie alla pioggia le caratteristiche meno adatte a Murray, e al suo tennis in progressione.
Su quelle dune Fabio ci si sarebbe dovuto ritrovare, specialmente per i cambiamenti di ritmo, di rotazione della palla (lift e slice) e di un colpo che è divenuto sempre più importante per interrompere il tran tran robotico degli scambi d’oggi, il raffinatissimo drop-shot, il colpo goccia, in italico smorzata. Doveva quindi essere, questo Fognini confortato da Flavia, ben conscio di possibilità che andavano oltre lo “spes ultima dea” e, non appena iniziato il match, me l’avrebbe confermato con i fatti, non solo grazie alle ripetute invocazioni a San Gennaro di un mio vicino che non cessava di mormorare “fang stu miracl”.
Non per mettere in dubbio l’assistenza divina, ma Fognini impiegava non meno di cinque games per ritrovare se stesso, una posizione in campo più avanzata e, dopo la difficile mezz’ora iniziale, conquistava il set con un parziale di 21 punti a 6. Cercava, un Murray avvisato, di accelerare, per quel poco che gli permetteva Fabio, ma così facendo non guadagnava certo regolarità, anche perché, come mi ricordava il mio vicino Claudio Giua, non era indenne dalle tossine delle quattro ore e venti della prosecuzione del singolare e del doppio di ieri. Nulla sarebbe mutato in un terzo set per un Murray sinceramente disperato, sempre più dimentico di una qualsiasi scelta tattica, cieco nel colpire con violenza e sempre più incline ad attribuire responsabilità alle dune di terra, graffiata da un paio di scarponi sempre meno mobili. Questo pareggio che portava le squadre sul due pari era in realtà una vittoria travestita. Solo circostanze irrazionali, solo un infortunio, un improvviso harakiri, avrebbero impedito a un giocatore del livello di Andreas Seppi di perdere contro un bravo giovanotto, Ward, che non è tra i primi cento del mondo ed è del tutto privo del talento necessario alle eroiche imprese. Faticava un tantino più di quanto gli sarebbe accaduto nel primo turno di un torneo, Andreas, ma il suo tennis di superiore categoria affiorava via via, sino a completare una vittoria che, va riconosciuto, rimarrà nei nostri annali col nome di Fabio Fognini.