Massimo Piattelli Palmarini, Corriere della Sera 6/4/2014, 6 aprile 2014
CAPIAMO I NUMERI PRIMA DEL LINGUAGGIO LE MAGIE DEL CERVELLO A DUE GIORNI DI VITA
Non capita tutti i giorni, anzi nemmeno tutte le settimane e nemmeno tutti i mesi, che una tesi filosofica fondamentale sia confermata sperimentalmente. Eppure questo è appena successo, grazie a un lavoro appena uscito sull’ultimo numero dei Proceedings of the National Academy of Sciences of the Usa (in breve PNAS) co-firmato da una delle piu’ note e autorevoli psicologhe cognitive: Elisabeth Spelke di Harvard. Insieme alle colleghe Véronque Izard, Coralle Sann e Atlette Streri del Laboratorio di Psicologia della Percezione del CNRS e dell’Università di Parigi Descartes, hanno confermato la tesi Kantiana che spazio, tempo e numero sono innati.
La Spelke ha indagato per anni e riportato in numerose pubblicazioni le radici cognitive dell’aritmetica e della nostra percezione dello spazio. Me lo conferma in un’intervista in esclusiva. Mi dice, infatti: «Le mie collaboratrici ed io avevamo recentemente scoperto che i neonati sono sensibili ai numeri e che bimbi appena più grandi, a cinque mesi, notano la correlazione tra numeri crescenti o decrescenti e spazi, rispettivamente, più o meno grandi. Volevamo, quindi, meglio indagare l’origine di questa capacità. Ovviamente, nel mondo che ci circonda, numeri, lunghezze e durate vanno insieme. Serie più numerose di oggetti occupano maggior spazio e sequenze più numerose di suoni durano più a lungo. Ci siamo chieste se queste correlazioni sono apprese o invece innate. Ora lo abbiamo fatto studiando i neonati, che ancora non hanno potuto avere esperienze di queste correlazioni».
Effettuare esperimenti di natura cognitiva su bimbi molto piccoli, in particolare su neonati a solo due o tre giorni dopo la nascita, sembrerebbe presentare formidabili difficoltà. Chiedo alla Spelke come hanno fatto. «Arlette Speri ha condotto questi esperimenti pionieristici a Parigi, in un reparto maternità, quando i bimbi sono svegli e attenti. Si pone loro di fronte un grande schermo e si fanno loro udire sequenze di suoni più o meno numerose, ciascuno di durata più o meno lunga, per uno o due minuti, prima che sullo schermo appaiano gruppi di oggetti più o meno numerosi, oppure linee di diverse lunghezze. La durata del loro sguardo viene rigorosamente misurata, mentre le serie di suoni continuano. Come noi, i neonati prestano maggior attenzione, cioè guardano più a lungo, eventi tra loro correlati, in questo caso, sequenze di suoni più numerosi, o che durano più a lungo, abbinate a un numero corrispondente di oggetti, oppure a linee più lunghe».
Vale la pena, per rendere questi esperimenti a noi palpabili, precisare che i numeri delle ripetizioni di sequenze acustiche (tipo tu-tu-tu... oppure ra-ra-ra-ra..., oppure tuuuu-tuuuuuu... oppure raaaaa-raaaa-raaaa...) variano tra quattro e diciotto e sullo schermo appaiono, in corrispondenza, o senza corrispondenza, quattro triangolini gialli, oppure sei o dieci cerchietti rosa e così via.
Faccio l’avvocato del diavolo e chiedo alla Spelke perché questi risultati mostrano che spazio, tempo e numeri sono innati. Risponde: «I suoni sono udibili, seppur distorti, già in utero, quindi in astratto è possibile che l’abbinamento tra suoni e durate sia stato appreso prima della nascita. Ma certo non l’abbinamento tra durate e stimoli visivi. Dormire, guardare il soffitto e guardare mamma, papà e parenti occupano totalmente i primi tre giorni di vita. Non vengono loro, ovviamente, dati giocattoli, né hanno alcuna esperienza di linee che si allungano o si accorciano né di figure geometriche colorate. Quindi ci sentiamo autorizzate a concludere che non possono aver anticipato, sulla base della loro precedente esperienza, l’abbinamento tra linee più lunghe, oggetti più numerosi e sequenze uditive di maggior durata. Assai più plausibilmente, la mente e il cervello di un essere umano sono pre-organizzati alla nascita per fare tali abbinamenti fondamentali».
Le chiedo, infine, quali saranno i prossimi esperimenti del suo gruppo. «Vogliamo sapere se queste capacità, presenti alla nascita, aprono la strada al susseguente progresso di concetti e intuizioni in matematica. Stiamo studiando, nel mio dipartimento a Harvard, bimbi più grandi e adulti. Vedremo come questi primordi si innestano su ulteriori sviluppi cognitivi di tipo matematico».
Riaffioreranno in alcuni di noi, penso, ricordi di filosofia del liceo. Gli empiristi inglesi amavano il motto: niente nell’intelletto se prima non è passato attraverso i sensi. Emanuele Kant obiettò: tranne l’intelletto stesso. Appunto, ora lo abbiamo constatato. Peccato che Liz Spelke non possa averlo come collega, in una cattedra di psicologia a Harvard.