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 2014  aprile 07 Lunedì calendario

BASTA TRAFFICO E RUMORE PERSINO NEW YORK HA LE SUE OASI DEL SILENZIO E UNA GUIDA LE RACCONTA


QUI a Manhattan tutto è possibile. Fare ginnastica in una fitness aperta alle tre di notte, poi cenare in un ristorante affollato alle quattro del mattino. O farsi le vasche in piscina al 60esimo piano di un grattacielo con viste a 360 gradi su Central Park, Hudson e East River. Un solo lusso sembra proibito perfino ai miliardari: il silenzio. Introvabile, irrealistico nella città che non dorme mai, dove i cantieri stradali lavorano 24 ore su 24, le sirene di polizia e pompieri sono “potenziate” per bucare il muro di decibel che è il rombo della normalità newyorchese.
Ma adesso tutti avremo diritto alla quiete. Arriva finalmente una guida della New York silenziosa. S’intitola “Quiet New York”, e non si limita a indicarci rifugi segreti: ce li mostra, come la mappa di una caccia al tesoro. L’autrice è una fotografa inglese, Siobhan Wall, formatasi negli studi classici a Cambridge, poi docente a Oxford. Ci voleva una straniera per avere la pazienza di setacciare la Grande Mela in cerca dei suoi luoghi più reconditi, riparati, dove far riposare i nostri poveri timpani. La Wall si era allenata con opere analoghe su Londra e Amsterdam, ma la sfida newyorchese è la più temibile. Questa città è la fabbrica ineguagliata del rumore. Anche chi ha vissuto in quel cantiere perpetuo che sono le megalopoli cinesi, come il sottoscritto, è impreparato a questo bombardamento di chiasso. Il rumore di fondo del traffico arriva ai piani alti dei grattacieli. I lavori edili o stradali, pubblici o privati, sono ubiqui e feroci nell’amplificazione di martelli pneumatici, trapani, gruppi elettrogeni. Gli apparecchi di aria condizionata funzionano a getto continuo in tutte le stagioni e i loro motori esterni garantiscono vibrazioni perpetue. La metropolitana ha un fracasso da primo Novecento, ferraglie arrugginite emanano fremiti da terremoto. Eppure la Wall ha scovato luoghi silenziosi dove meno te li aspetti. Nel cuore di uno stadio, il Barclays Center, c’è una “stanza per la meditazione” perfettamente insonorizzata. A Brooklyn dei guru di yoga hanno costruito il silenzio totale non attraverso costose intercapedini sintetiche bensì con pareti imbottite di antiche sete indiane. E se Central Park è invaso costantemente da un folla di corridori, nel Bronx i giardini pubblici di Wave Hill sono talmente sconosciuti da essere deserti. La tenacia con cui la fotografa inglese ha perlustrato la città ci dischiude luoghi improbabili: come il negozio di cappelli per signore di Barbara Feinman Millinery, talmente desueto e démodé che possiamo goderci un’autentica solitudine nel cuore dell’East Village. Molti di questi rifugi misteriosi stanno nei musei. Non quelli famosi: Metropolitan, MoMa, Guggenheim sono formicai cosmopoliti, pateticamente cercano di far rispettare il divieto dei telefonini ma certo non offrono tranquillità. No, il visitatore alla Bruce Chatwin può trovare isolamento in musei così sconosciuti che ti chiedi quale mecenate sognatore si ostini a tenerli aperti: la Korea Society nascosta al terzo piano di un palazzo sulla Terza Avenue; la Hispanic Society of America sulla Audubon Terrace (Broadway e 156esima Strada); il Nicholas Roehrich Museum vicino alla Columbia University.
Purtroppo non meritano di entrare in questo catalogo quelli che un tempo erano i santuari del silenzio per eccellenza: le sale di lettura delle biblioteche pubbliche. Lì dentro parlare non si può, però l’invasione dei tablet fa sì che un soffuso crepitìo digitale ha profanato la quiete vera. Siobhan Wall non si è limitata a inseguire l’assenza totale di decibel. Realisticamente, ha compilato anche una classifica di ristoranti dove il rumore c’è ma accettabile. Perché questa è l’altra piaga che perseguita noi newyorchesi: se vai a cena fuori con gli amici, oltre al cibo non pretendere di avere anche una conversazione, il 50% dei ristoranti ha una colonna sonora da discoteca per 17enni, un altro 45% ha le pareti che moltiplicano l’eco delle conversazioni trasfor-mandolo in un boato indistinto, minaccioso, estenuante. “Quiet New York” ci rivela i rari locali dove si può andare a cena e udire quel che dice il vicino. Peccato, però, rendere pubblico un elenco così prezioso. Per colpa di questa guida forse anche le ultime oasi paradisiache saranno prese d’assalto da masse vociferanti, smessaggianti, sovreccitate, e sempre più sorde.