Raimondo Bultrini, la Repubblica 7/4/2014, 7 aprile 2014
INDIA, I SEGRETI DEL VOTO PIÙ GRANDE DEL MONDO
PER guidare la più grande democrazia del mondo serve l’aiuto degli uomini e degli dei. Forse per questo l’ambizioso Narendra Modi, il politico ultra religioso del Bharatiya Janata Party, è partito da una circoscrizione in aura di santità, per lanciare la sua sfida.
LA SUA sfida è cambiare una nazione — un Continente — con oltre un miliardo di anime, 3 mila lingue parlate, il 40 per cento di membri di caste arretrate come la sua e il 20 per cento di Fuoricasta o Intoccabili.
Varanasi è un palpitante e caotico centro urbano con tre milioni di abitanti, culla della civiltà hindu. In tutte le scritture antiche note agli indiani fin dall’infanzia, questa è la porta d’accesso al Paradiso per chi viene a morire sulle ormai fetide sponde del Gange certo di rinascere in un mondo migliore. Le elezioni del nuovo Parlamento o Lokh Saba si aprono ufficialmente oggi, ma è solo la prima delle nove fasi di voto per la cifra record di 815 milioni di aventi diritto in più di 9 milioni di seggi distribuiti in 543 circoscrizioni del Paese, tante quanti saranno i parlamentari eletti. Sarà una sfida fatale per il partito del Congresso dei Gandhi, talmente indebolito dalle conseguenze di dieci anni di governo inefficace e corrotto da essere ormai una facile vittima dello tsunami politico in arrivo con Modi. Perfino il costo delle bombole di gas usate da gran parte della popolazione è aumentato tre volte assieme a quello dei generi di prima necessità, e costano fino a un quinto del salario di un operaio.
Il carisma autoritario del nemico numero uno dei Gandhi, 62 anni, origini umili di casta dei servitori Sudra, un largo torace che gli dà voce baritonale fin da quando da ragazzo vendeva il tè nelle stazioni dei treni, viene dai tredici anni di governo dello Stato del Gujarat scanditi da tassi di crescita ben più alti della media nazionale. In pochi mesi Modi — tra lo stupore degli stessi leader storici del Bjp — ha perfino trasformato la campagna elettorale indiana basata sulle alleanze tra formazioni politiche in una gara presidenziale: «Votate direttamente per me, non per il partito », ha detto durante uno dei suoi interminabili tour a bordo di un elicottero della polizia. Ma i suoi seguaci di Varanasi vanno perfino oltre, e nonostante le proteste di molte congregazioni induiste per l’uso blasfemo dell’ode dedicata esclusivamente al temibile dio Shiva, gridano a piena gola nei comizi “Har Har Modi”, Ave Ave!
Quasi intimiditi, i militanti del Congresso di Varanasi tengono la sede ancora chiusa gran parte del giorno, non solo per i 40 gradi estivi, ma anche perché a Delhi il partito non ha nemmeno deciso chi presenterà in lista contro Modi. Il timore è un umiliante confronto diretto per qualcuno dei leader più prestigiosi come Rahul Gandhi, autonominatosi difensore dei poveri ma poco credibile per i fallimenti di sua madre Sonia e dell’attuale premier Manmohan Singh. Allo stesso tempo pero’ nessuno vuole lasciare al Bjp completo campo libero, nemmeno i due grandi partiti regionali dell’Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso dell’India dove ricade la circoscrizione della città santa. Per questo ex nemici acerrimi come Mayawati e Mulayam Singh potrebbero formare col Congresso una inedita alleanza, proponendo un candidato unico quantomeno per conquistare il blocco compatto dei musulmani locali che odiano Modi per il suo passato di fondamentalista hindu.
Dalla sua, il glorioso partito di Nehru e del Mahatma ha ancora uno zoccolo duro di oltre 100 seggi nel solo Nord Est, e il credito di leggi popolari come il cibo garantito, il diritto all’informazione e la distribuzione delle terre. Gli intellettuali che hanno simpatizzato prima con la sinistra e poi col Congresso, preferiscono però il nuovo sfidante del tradizionale duopolio secolarista e religioso, il fondatore del partito dell’Uomo Qualunque Arvind Kejriwal.
Affatto interessato a divisioni del suo elettorato in caste, clan e fedi, Kejriwal è un uomo di battaglia, è sceso in strada dopo l’elezione a capo ministro di Delhi con le carte dell’ufficio per lavorare tra la gente, e a sua volta ha scelto la circoscrizione di Varanasi per entrare in Parlamento, in aperta competizione con Modi che qualche settimana fa non ha nemmeno voluto riceverlo per un tè. I suoi entusiasti attivisti girano in città con i cappelletti alla Gandhi e navigano il web propagandando i messaggi del leader col logo del tutto laico dell’Uomo Qualunque, una scopa di frasche con la quale spazzare via simbolicamente i corrotti. «Penso che sprecherei il mio voto sapendo che quel partito avrà al massimo dieci deputati», spiega Sanjay, un commerciante dalit col negozio nei celebri ghat dove ogni giorno il sole sorge come d’incanto dalle acque del fiume madre. Ma nel suo messaggio anarchico durante l’ultimo comizio nella città santa, “Kejri” non ha negato di voler puntare da terzo incomodo a creare instabilità istituzionale.
Intanto ad ogni sondaggio più o meno attendibile che dà Modi vincente, la Borsa di Mumbai celebra con una impennata dei titoli, specialmente quelli di compagnie come Adani Enterprises, la famiglia che ottiene la gran parte degli appalti del Gujarat, e il cui valore azionario secondo il Financial Times è salito del 45 per cento nell’ultimo mese. Con la vittoria di Modi, nessuno ostacolerebbe il loro contestato porto di Mundra, nonostante il grave impatto ambientale. Ma un po’ tutto il territorio dell’India è potenzialmente destinato a entrare sul mercato delle privatizzazioni, con conseguenti espropri statali di terre e risorse sul modello delle zone economiche speciali cinesi.
Quella che per gli avversari è una colpa, la prona dipendenza dal grande capitale, nella fase attuale di stagnazione economica è per Modi la carta vincente per le speranze di sviluppo che nutre gran parte dell’India, a cominciare dai giovani al primo voto, oltre 100 milioni. Le concessioni ai gruppi indiani multinazionali per impiantare le fabbriche e le imprese, sono già valse a Modi il coefficiente di crescita più alto dell’India (sopra il 10 per cento contro il 5 nazionale), il tasso di disoccupazione più basso (uno per cento), e il dimezzamento della percentuale di poveri, scesi al 16 per cento dal 31 dell’inizio del suo mandato. Non solo. Più del 90 per cento delle case — e va da sé delle imprese — hanno corrente elettrica e acqua corrente, caso unico in tutta l’India.
Il Congresso per ora cerca di frenare il ciclone che sta per abbattersi sul proprio sistema di potere puntando sul rischio di divisione del Paese su base religiosa ed etnica. Ma anche in questo caso il Bjp (che nonostante l’”umile” Modi è un partito di leader di alta casta) non nasconde di usare la carta delle divisioni etniche e tribali per fini elettorali, come ha fatto Amit Shah, il braccio destro di Modi che in UP ha invitato apertamente l’etnia Jat a votare Bjp per “vendicarsi” delle rivolte dei musulmani di Muzafarnagar.
In attesa che la campagna entri nel vivo con possibili nuove tensioni e violenze, la propaganda del “re dei re” nei media e sui muri delle città e villaggi si fa intanto pressante e taumaturgica: «L’attuale stato dell’India è quello di un malato grave — dice — Tempo di cambiare. Tempo di Modi». Il medico delle pillole amare.