Dario Di Vico, Corriere della Sera 6/4/2014, 6 aprile 2014
A LOGISTICA HI-TECH ACCANTO AL LAVORO ILLEGALE MISCELA ESPLOSIVA SULL’ASSE PIACENZA-BOLOGNA
Giovedì scorso il congresso nazionale della Filt-Cgil (trasporti) ne ha discusso a lungo e ieri c’è stata una manifestazione di Cub e centri sociali contro l’arrivo di Susanna Camusso a Bologna. Nella filiera della bistratta logistica italiana i nervi sono tesissimi, il lavoro illegale rischia di diventare la regola e il sindacato è fuorigioco. Da qui il durissimo attacco del segretario della Cgil a Giuliano Poletti nella sua veste di ministro del Lavoro ma anche di ex presidente della Lega Coop: «Ci son troppe false cooperative nel mondo della logistica e dei trasporti. La legge è da rifare». Ma al di là dei ruoli politici, e di una contrapposizione Cgil-Poletti che si fa ogni giorno più netta, la verità è che le caratteristiche e i rapporti di lavoro all’interno della delicata filiera che comprende e-commerce, autotrasporto e facchinaggio stanno mutando vorticosamente. Nel puzzle c’è di tutto: la tecnologia più sofisticata di Amazon e Yoox, i camionisti dell’Est europeo a caccia di un ingaggio qualsiasi e i facchini maghrebini sottopagati e ricattati.
L’asse territoriale di questi mutamenti è quello che collega il polo logistico di Piacenza con l’Interporto di Bologna, 160 kilometri che mettono assieme high tech e schiavismo, ritardi del trasporto italiano e rischi di infiltrazioni della criminalità organizzata. Sullo sfondo un’industria come quella dei Tir che non si è mai modernizzata e dove vige la regola degli appalti al massimo ribasso, dove la competizione vive tagliando retribuzioni e tutele favorendo così l’azione di soggetti anomali come le cosiddette cooperative spurie, che non aderiscono alle tre grandi centrali e non avrebbero i requisiti minimi per operare. Solo a Modena ne sono state contate 180 che nascono o muoiono in funzione di una singola commessa. Del resto nel trasporto su gomma quando un’impresa manifatturiera si rivolge a un operatore nel 92% tratta con un intermediario che solo nel 3% dei casi svolge il servizio con camion propri mentre nel resto dei casi si comporta come un broker e lo cede ad altri vettori. Il tutto avviene avvolto nel massimo silenzio, eppure il settore logistico sarebbe strategico per la creazione di occupazione perché labour intensive. Via via però è cambiata la composizione della manodopera: secondo i dati di Veneto Lavoro, ad esempio, tra il 2008 e il 2011 nella logistica nord-estina sono stati assunti 1.700 stranieri mentre sono stati licenziati 1.200 italiani.
Accanto al tema del lavoro in dumping c’è quello della prestazione monotona e ripetitiva nei magazzini iper-tecnologici dell’e-commerce. Una volta mansioni di questo tipo si chiamavamo mcjobs perché il prototipo era il cameriere di McDonald’s. Nel Piacentino c’è il magazzino della Amazon che lavora su due turni per sette giorni alla settimana. Oggi gli addetti sono 300 di cui il 90% magazzinieri e l’età media è tra i 30 e i 32 anni, la stragrande maggioranza italiani. In azienda non c’è il sindacato perché nessuno dei dipendenti ne ha fatto richiesta ma si applica il contratto nazionale del commercio più un bonus collettivo legato alla sicurezza e alla qualità. L’ottimizzazione della prestazione comincia già dal parcheggio: le auto vanno messe con il muso rivolto all’uscita per evitare di creare ingorghi nel momento del ritorno a casa. L’insediamento di Amazon è ancora troppo giovane per avere dati significativi: ad oggi il turnover è ancora basso ma l’azienda è attenta a studiare i tempi di rotazione delle mansioni e a cercare di promuovere, per quanto possibile, la mobilità professionale interna.
I sindacati per ora non hanno elaborato risposte al mutamento del lavoro generato dall’ecommerce, più in generale sostengono che manca una politica italiana della logistica. Citano le analisi dell’istituto specializzato Isfort secondo le quali l’Italia negli anni 80 e 90 aveva l’opportunità di costruire un’intelaiatura di trasporto in grado di sostenere la crescita del Paese ma il disegno si è dovuto confrontare con il progressivo declino della grande industria e la crescita dei distretti. Di fronte a queste novità, sostiene Andrea Appetecchia dell’Isfort, la politica non è riuscita a reagire ed «è emerso un modello logistico italiano fondato sul laissez faire, opposto a quello dirigistico degli anni 80». I riflessi sono stati evidenti in termini di riduzione dei volumi di merce trasportati, distribuzione dei flussi concentratissima al Nord, fabbisogni professionali di scarse qualifiche e condizioni di lavoro al limite della legalità. I dati sulla composizione dei lavoratori li fornisce la Filt Cgil: il 34% degli addetti sono facchini, il 16% autisti, il 7% conduttori di mezzi pesanti, il 5% fattorini e portalettere. I contratti di lavoro sono solo al 24,2% a tempo indeterminato. Il resto è tutto a termine, lavoro somministrato, intermittente o contratti a progetto.
«Ha prevalso la logica del massimo ribasso» commenta Alessandro Ricci, presidente dell’Interporto di Bologna, assieme a Padova la realtà più calda della logistica italiana con un polo di 118 aziende e 2.500 addetti e con una presenza pressoché quotidiana di Cobas e centri sociali alleati delle cooperative spurie. «Le imprese hanno deciso di non gestire un pezzo della distribuzione delle loro merci e hanno ceduto potere negoziale a valle. Nella logistica non sono cresciute aziende italiane robuste e ai primi posti ci sono tutti colossi stranieri». Il guaio è che la ricaduta sociale è quella che abbiamo visto: nell’Emilia rossa un’ora di servizio di facchinaggio dovrebbe costare tra i 15 e i 17 euro e invece si firmano contratti anche a 12-11 euro con le false coop nella quale il finto socio-lavoratore accetta di prende meno salario e non avere tutele. E alla testa delle coop spurie ci sono personaggi singolari, dei veri broker di manodopera che reclutano per lo più immigrati in collaborazione con improvvisati capi-comunità, che altro non sono che dei caporali. Secondo i dati della Filt Cgil, infatti, il 73,1% degli stranieri trova lavoro nel settore tramite parenti e amici.