Matteo Persivale, Corriere della Sera 5/4/2014, 5 aprile 2014
LETTERMAN, FINE DI UN’EPOCA IL RE DEL TALK VA IN PENSIONE
Ha annunciato la fine della sua carriera facendo quello che sa fare meglio, una battuta: «Adesso, finalmente, io e Paul (la sua spalla Paul Shaffer, calvo e sulla sessantina, ndr ) potremo sposarci». David Letterman ha dato all’America la notizia del suo pensionamento pochi giorni prima di compiere 67 anni, e l’ha fatto, orgogliosamente, sul mezzo al quale ha dedicato la carriera: la tv. Non ha scelto Twitter o Facebook, o un’intervista su un magazine di lusso, perché uomo di televisione è nato — dopo una breve esperienza alla radio, nella natìa Indianapolis — e così è felice di andarsene. Come l’ultimo dei grandi conduttori di talk show della generazione del baby boom, rampollo e erede del più grande di tutti, Johnny Carson (sconosciuto in Italia perché allora il satellite non c’era).
L’altra sera Letterman durante il suo The Late Show ha detto con semplicità che la prossima edizione sarà l’ultima, il contratto con la Cbs scade nell’agosto 2015 e gli sembra giusto chiudere qui. «Non abbiamo ancora un calendario preciso, sarà tra un annetto, circa, in un futuro non troppo distante. Nel 2015, per amor di Dio. Paul e io (sua spalla dal debutto, nel 1982, ndr ) chiuderemo bottega e ce ne andremo». L’ha subito salutato Obama, via Twitter: «Ci sono più di 10 ragioni per le quali #DavidLetterman ci mancherà», facendo riferimento alle «Top 10» con le quali si fa beffe di chiunque, anche del presidente.
Letterman è stato capace di resistere a un intervento d’urgenza con cinque bypass nel 2000, a uno scandalo di adulterio e tentata estorsione nel 2009 (confessato con un’altra battuta memorabile: «Volevano ricattarmi rendendo pubbliche alcune mie relazioni con donne che lavorano per questo show. Sarebbe stato imbarazzante, più che altro per quelle donne»). Adesso sarebbe comodo — e troppo facilmente freudiano — dire che ha resistito a tutto tranne che all’ennesima delusione, l’anno scorso, quando per l’ultima volta gli è sfuggita la chance di sedere dietro la scrivania che fu del suo idolo Johnny Carson, quella di The Tonight Show della Nbc, il talk show più antico del mondo (1954).
Ancora una volta è stato scelto qualcun altro, Jimmy Fallon, 39 anni, 28 meno di Letterman: meno comico e meno intervistatore e per nulla sarcastico ma furbo praticante dell’arte di cavalcare i social network , fabbricatore seriale di clip su misura per YouTube che diventano virali. Fallon sa che milioni di americani (specialmente quelli più ambiti dagli inserzionisti) magari non guardano la tv ma il giorno dopo, dallo smartphone o dall’ufficio, cliccano sui video della sera prima. Un gioco al quale Letterman non vuole — non può — giocare.
Nel 1993 gli preferirono Jay Leno, da lui molto odiato: forse meno grande di lui come comico ma che ha saputo navigare le acque dei network, molto popolate di squali, con machiavellica bravura (Leno nel 2009 venne tagliato e poi riuscì a fare le scarpe, dopo un solo anno, al povero Conan O’Brien, bostoniano laureato a Harvard, tornando a condurre The Tonight Show fino a pochi mesi fa).
La corsa per rimpiazzare Letterman è già cominciata: candidati lo scozzese Craig Ferguson, il liberal Stephen Colbert che finge di essere di estrema destra, il mentore di Colbert, Jon Stewart, che però ora vuol fare cinema. Lena Dunham via Twitter ha subito invocato «diversificazione» che tradotto dal politically correct vuol dire «scegliete una donna o un nero»: in quel caso, la tagliente Chelsea Handler o l’afroamericano Chris Rock. Tutti più giovani, più nuovi di Letterman. Ma forse a essere logoro è il format del talk show con il monologo, la scrivania, la band. Nato in bianco e nero, su misura di un’America anni 50 così diversa da quella dei reality, di Instagram, e di Kim Kardashian sulla copertina di Vogue.