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 2014  aprile 07 Lunedì calendario

ORBÁN STRAVINCE, NEONAZI SOTTO IL 20%


«VIKTOR, Viktor», si preparano a scandire i suoi seguaci dentro “la Balena”, il modernissimo shopping mall ipervetrato in riva al Danubio. Lui, Viktor Orbán, il premier nazionalconservatore, ha stravinto con una valanga di voti. Secondo i dati sul 47% dei suffragi espressi, ha avuto il 46% e oltre dei consensi alle elezioni politiche svoltesi ieri in Ungheria, piccolo ma importante membro centroeuropeo di Ue e Nato. Col premio di maggioranza vuol dire ben 134 seggi sui 199 del Parlamento, nonostante i voti in calo rispetto al 52,73 per cento del 2010. Ma vanno meglio del previsto (39 seggi) le sinistre, pur eterogenee, disorganizzate, segnate da scandali, guidate da un leader incolore quale il 40enne socialista Attila Mesterhàzy, e svantaggiate dal ben minore spazio nei tg. Mentre i neonazisti antisemiti di Jobbik crescono appena, dal 16,7 di 4 anni fa al 18-19 e ottengono 26 seggi. Mancano clamorosamente, però, il traguardo del 20 per cento e il sogno di strappare al blocco progressista il posto di seconda forza del paese. A meno di due mesi dalle elezioni per il Parlamento europeo, lo “Zar Viktor” con alle spalle tutto il Ppe degli eredi di Adenauer e de Gasperi vince un secondo mandato. I nostalgici di Hitler e della Shoah non sfondano, sebbene la somma teorica dei voti delle due diverse destre vada al 66%.
«Viktor, Viktor, altri quattro anni», sono pronti a gridare i fan della Fidesz, il partito del premier (affiliato al Ppe) sventolando i loro vessilli e il tricolore nazionale con lo scudo. Per loro non conta che il premier non abbia voluto il teleduello con lo sfidante. Conta la vittoria, il potere confermato. Ma si preparano alla festa anche i socialisti, a Jokai utca, davanti alla loro sede, e poche ore fa, in quello che è sembrato un segnale chiaro, gli ambasciatori del Regno Unito e di Israele sono arrivati là per incontrare i loro leader. «Siamo preoccupati per la partecipazione bassa, attorno al 62 per cento, può aiutare gli estremisti », mi dice Ildikò Lendvai del partito socialista (Mszp, ex comunisti), «e anche se noi restiamo più forti, Jobbik rimane pericoloso, per la mia patria e per l’Europa intera».
I risultati vengono solo da exit poll. Dati parziali arriveranno più tardi, molto può ancora cambiare. A sinistra non manca nemmeno, a Jokai utca, chi spera quasi in una situazione capovolta, o almeno in una differenza di soli dieci punti tra la Fidesz e la loro coalizione. Un dato positivo per i progressisti: va bene anche il nuovo partito verde/liberal Lmp, che col 6 per cento attribuitogli supera la soglia di sbarramento.
«Comunque, se avranno riscontro nei dati finali», mi dice un alto consigliere di Orbán, «daranno la conferma che siamo noi della Fidesz, conservatori, patrioti, e non scettici ma eurorealisti, il vero argine contro l’estremismo alla Jobbik, una minaccia in tutta Europa. E gli elettori sembrano premiare i successi economici del nostro governo, e misure a favore dei consumatori», come tetti e tagli ai livelli delle bollette elettriche. Che raggiunga o no i due terzi, Orbán avrà comunque in pugno nell’aula centrale dello Orszaghàz, l’enorme Parlamento sul Danubio, una comoda maggioranza assoluta. Tra i deputati ridotti da 400 a 199, di cui 106 eletti in circoscrizioni ridisegnate (ci dicono gli oppositori) per avvantaggiare i candidati governativi. Comunque potrà continuare a legiferare per decreto — negli ultimi 4 anni 850 leggi decise dall’esecutivo, e passate dai parlamentari in corsa. Potrà dichiararsi amico della Ue, specie dei popolari che gli hanno tirato la volata persino con una lettera calorosa del padre della Germania unita e dell’euro Helmut Kohl al «caro amico Viktor, che fa la politica giusta », magari senza rinnegare gli accordi sull’atomo con Mosca.
«Il paese resterà spaccato come mai dopo la fine del comunismo, e lui si cura dei vincenti, di chi si schiera con lui e deve essergli grato di favori, non dei perdenti e dei poveri», lamenta lo scrittore ex dissidente GyorgyKonràd. Ma la deregulation dura di welfare e mercato del lavoro ha attirato investimenti enormi. It’s the economy, stupid!, anche qui sul Danubio, con istituzioni non proprio anglosassoni