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 2014  aprile 07 Lunedì calendario

PERCHÉ NON POSSIAMO CHIAMARCI PIÙ MARIO


L’IMPORTANZA di chiamarsi Ernesto? Nessuna. Stando almeno alle classifiche dei nomi più amati dagli italiani. Ernesto, in mesta compagnia di Domenico, Luciano, Giuseppina, Rosa, Carmela, Antonietta, Rita e Concetta, cade nel dimenticatoio. Diffusissimi negli Anni 60, fanno ormai parte di un vintage anagrafico. La popolarità dei nomi soggiace a leggi insondabili. A volte è possibile ricondurre una moda onomastica a una serie tv, un calciatore, un cantante. A volte no.

L’IMPORTANZA di chiamarsi Ernesto? Nessuna. Stando almeno alle classifiche dei nomi più amati dagli italiani. Ernesto, in mesta compagnia di Domenico, Luciano, Giuseppina, Rosa, Carmela, Antonietta, Rita e Concetta, cade nel dimenticatoio linguistico. Diffusissimi negli anni 60, fanno ormai parte di un vintage anagrafico. Per essere contemporanei, casomai, quello che conta è chiamarsi Sofia e Francesco. Sono questi ultimi, infatti, i più “stellati” del 2013. I portabandiera delle italiche preferenze. Ma non montatevi la testa, cari neonati. Sara, solo nel 2006 egregia seconda, nel 2012 è precipitata oltre la quinta posizione. Asia, Federica e Valentina, senza tanti complimenti, sono state escluse dalla top 30. Giulia, per anni regina tra i fiocchi rosa, è scivolata al secondo posto. Il record delle rimonte spetta ad Emma: 24 punti in 10 anni. E per i maschietti? Daniele, Samuele, Giacomo e Cristian (senza h però, perché la variante Christian è ben salda al venticinquesimo) non hanno resistito alla rivoluzione azzurra dei Diego, Nicolò e Manuel. La crisi della fede ha determinato il crollo dei vari Natalina, Pasquale, Assunta, Quaresimina, Rosario o Resurrezione. Certo, c’è pur sempre quel Francesco al comando, ma il fatto che sia il preferito nella capitale fa temere che più che da papa Bergoglio il traino derivi dal calcistico capitano. Pazienza. Come diceva lo storico Thomas Carlyle “dare il nome a qualcuno in realtà è un’arte”.
Le motivazioni che convincono madri e padri, dopo nove mesi d’indecisioni e consulti, sono indefinite. Spesso ci si mette il caso o la stravaganza genitoriale. Il papà di Condoleeza Rice, appassionato di lirica, voleva chiamarla Condolcezza. L’impiegato dell’anagrafe non capì e lei, con quel nome storpiato, è entrata nella storia. Meglio comunque non esagerare con i deliranti Mafia, Azucena, Ikea o Silvio Berlusconi (scelto da un entusiasta immigrato del Ghana). Un decreto del presidente della Repubblica del 2000, infatti, proibisce i nomi considerati “ridicoli e vergognosi”.
Nel costante calo delle nascite, 12mila in meno nel 2012, i genitori si concentrano sempre di più su quell’unico bebè. E non è detto che la cosa aiuti. «Dare il nome ad un figlio è un gesto carico d’aspettative e di auspici. Per esempio tra gli immigrati che scelgono nomi italiani c’è una “integrazione proiettiva”», spiega Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dei processi migratori all’Università di Milano, «molti scelgono un nome italiano, o perlomeno il doppio nome, per sentirsi parte della comunità ». Il risultato è spesso un fatto di classe. «Per i ceti popolari la scelta cade su Jessica, Samantha, Christian, Kevin, icone dello scintillante scenario televisivo o dall’emulazione di figli di attori e calciatori», precisa Ambrosini, «mentre i più agiati guardano al passato riesumando i bisnonni in un trionfo di Lorenzo, Eleonora, Fiammetta ed Edoardo».
Già tra i pupi avanza una cultura global che sdogana i transnazionali. Quelli cioè che si scrivono, e si leggono, identicamente nei vari Paesi: ecco Olivia, Emma, Omar, Ava e Lola. Sembra invece tramontata, senza troppi rimpianti a dire il vero, una stagione legata all’universo fiction. Niente più Gei Ar o Brooke o Logan. «Chiamare i propri figli come i protagonisti delle telenovelas rimane tra i latinos e i rom», dice Ambrosini. I nomi che non ci sono più, o quasi, rivelano come un documento d’identità l’anno di nascita. Se recentemente è nato un Like( mi pace) in omaggio a Facebook, negli anni 80 era il boom dei Diego (Maradona), intorno ai 30 di Benito, Rachele e Adolfo, nel 50 furoreggiava Sabina (omonimo film con Audrey Hepburn) e nei 70 Raffaella (Carrà). Oggi le mamme sono spesso più che 40enni (più del 7%) la speranza, conclude Ambrosini, «è che nella decisione siano più consapevoli». In fondo anche i nomi, come le stagioni, non sono più quelli di una volta.