Federico Fubini; Roberto Mania, la Repubblica 7/4/2014, 7 aprile 2014
UN MILIARDO DI SPRECHI ECCO TUTTI I CONTI SUGLI IMMOBILI DI STATO
LO STATO italiano è fra i più grandi (e incapaci) gestori al mondo di case, palazzi, caserme, “fabbricati rurali”, “opere destinate al culto”. La Ragioneria Generale stima che questo patrimonio in mattoni abbia un valore che, unica eccezione in Italia, cresce in modo esplosivo nonostante la nostra lunga recessione: valeva 128 miliardi di euro nel 2008, più che raddoppiati a 281 miliardi nel 2012. Tolti, ovviamente, i beni artistici o archeologici. Una fortuna, solo questa, superiore a quella (cumulata) dei cinque uomini più ricchi del pianeta: gente come Bill Gates, Carlos Slim o Warren Buffett. Positivo, no? No. Perché soltanto lo Stato centrale “butta” ogni anno oltre un miliardo di euro per pagare gli affitti di sedi e di uffici. Ma anche perché nemmeno Palazzo Chigi, cioè il governo, o lo stesso Demanio “confessano” al Tesoro le proprietà che controllano, così che a nessuno salti in mente di provare a risparmiarci sopra qualcosa. Opacità.
Così il mattone di Stato rischia di trasformarsi in un incomprensibile segreto di Stato. O più precisamente ancora, in un segreto fra le varie branche dell’amministrazione dello Stato. Possibile?
A DIRE il vero, tutto era partito con le migliori intenzioni. Negli ultimi anni il Tesoro ha avviato un’indagine sul patrimonio della pubblica amministrazione. Si legge nell’ultima edizione, pubblicata (molto in sordina) un paio di mesi fa: «La conoscenza sistematica e puntuale degli attivi del patrimonio pubblico rappresenta un elemento indispensabile per orientare le decisioni di politica economica», cioè per la «valorizzazione» e la «redditività». E ancora: «La gestione efficiente del patrimonio pubblico può svolgere un ruolo importante per il contenimento del deficit e la riduzione del debito pubblico». Di lì il censimento: a tutte le amministrazioni è stato chiesto di registrare i propri beni al sole, immobili e terreni, su un portale del Tesoro.
Di fronte a obiettivi del genere, ci sarebbe da aspettarsi un’adesione di tutti o quasi. Peccato che non sia successo. Informa lo stesso ministero dell’Economia che il 40% delle pubbliche amministrazioni non ha ancora comunicato l’ammontare del proprio patrimonio immobiliare. Non l’ha fatto Palazzo Chigi, se non per il 10% degli uffici coinvolti; l’hanno fatto solo in parte gli altri organi di rilievo costituzionali. Lo stesso Demanio ha omesso di notificare al Tesoro buona parte di quello che sa dei propri palazzi e dei propri terreni, malgrado che sia proprio il ministero dell’Economia a controllarlo.
Gli ultimi dati disponibili dicono che l’ha fatto solo il 43% delle amministrazioni centrali (il 100% dei ministeri e delle quattro Agenzie fiscali e il 40% delle altre amministrazioni), il 59% degli enti locali (l’85% delle Regioni, il 95% delle Province, il 64% dei Comuni, il 96% delle Università) e il 100% degli enti previdenziali (ormai sono rimasti solo l’Inps e l’Inail). L’80% degli immobili è stato comunicato dalle amministrazioni locali, in particolare dai Comuni che possiedono circa il 73% del totale. Alcune delle omissioni più vistose vengono invece dalla Presidenza del Consiglio (ferma al 10% di aggiornamento dei dati), dall’Automobil Club e dagli Istituti Autonomi Case Popolari.
Insomma molti sembrano più gelosi dei propri averi che smaniosi di ridurre deficit e debito. Altro che trasparenza. La pubblica amministrazione italiana continua a adorare l’opacità, i chiaroscuri dietro i quali possono proseguire inefficienze, clientele, abusi, sprechi. E dire che comunicare le proprie proprietà al dipartimento del Tesoro sarebbe stato un obbligo di legge: articolo 2, comma 222, periodi undicesimo e seguenti della 191 del 2009. Norma scritta dal governo e dal governo violata, come altre volte. Uno Stato reticente. Che non paga nemmeno l’affitto in molti casi. Uno Stato, infatti, scandalosamente moroso: solo nel bilancio dell’Inail (l’Istituto nazionale delle assicurazioni), con un ingente patrimonio di immobili da 4 miliardi di euro, mancano ogni anno all’appello circa 30-40 milioni di euro (erano oltre il doppio qualche anno fa) per canoni di locazioni da parte dei ministeri o altri uffici pubblici. Così che ogni anno l’Istituto deve presentare una diffida per evitare che il tutto cada in prescrizione. Non è una partita di giro, visto che l’Inail è pubblico: è, piuttosto, uno spreco di risorse pubbliche, mentre da anni per far quadrare i conti si ricorre ad un incremento progressivo della pressione fiscale sui cittadini e le imprese, o a tagli lineari che colpiscono anche i servizi sociali. Le cartolarizzazioni inventate da Giulio Tremonti non sono servite a molto. Le articolate operazioni di finanza creativa (da Scip 1 a Scip 2) hanno messo sul mercato quote del patrimonio immobiliare pubblico, adottato il meccanismo del “vendi e riaffitta”, salvo poi clamorosi ripensamenti che di fatto costringono ora enti come l’Inail, forte di una imponente disponibilità di cassa, ma anche l’Inps, a ricomprare immobili ceduti dallo Stato: dalle caserme (per esempio quelle dei carabinieri a Roma a piazza del Popolo, in Via Panisperna o ancora quella di Piazza San Lorenzo in Lucina) a palazzo di pregio o funzionali all’attività istituzionale (la prefettura dell’Aquila finita nel portafogli di Beni Stabili). Anche perché — lo prevede la legge — gli affitti degli enti ad altri soggetti della pubblica amministrazione devono essere scontati del 30%. Pubblico sembrerebbe meglio, in questo caso, del privato o comunque meno costoso. Per quanto — ha scritto Edoardo Reviglio, chief economist della Cassa depositi e prestiti — «la gestione degli immobili pubblici è caratterizzata in genere da alti costi di gestione ordinaria e straordinaria, stimati in media dalle 2 alle 3 volte superiori a quelli di mercato».
Stime private, parallele a quella della Ragioneria, indicano che il valore totale del patrimonio immobiliare pubblico sia intorno ai 400 miliardi di euro. L’Istituto Bruno Leoni ha calcolato che il valore degli immobili pubblici «potenzialmente liberi», quindi non necessari ai fini istituzionali né affittati ad altri, ammonti a 42 miliardi di euro, più di 2,5 di Pil. Sono cifre enormemente più grandi di quei dieci miliardi che servono per tagliare l’Irpef che pesa sulle buste paga dei lavoratori dipendenti.
Nel dettaglio, la pubblica amministrazione italiana, o meglio quel 60% che ha rispettato l’obbligo della comunicazione, possiede 1,5 milioni di immobili, probabilmente più di chiunque altro (salvo forse lo Stato francese). Emergono dall’indagine del Tesoro 634 mila unità immobiliari, per una superficie complessiva di oltre 300 milioni di metri quadri. Uno spazio immenso al quale vanno aggiunti 875 mila terreni per una estensione di circa un milione e 700 mila ettari.
Eppure, nonostante questi numeri, lo Stato, i suoi organi costituzionali così come gli enti locali dei diversi livelli affittano gli uffici. Se ne va poco più di un miliardo ogni anno sotto la voce canoni di locazione solo per lo Stato centrale. Uno dei più grandi immobiliaristi al mondo va in affitto. Peraltro, alle stime più recenti della Ragioneria, di questo miliardo speso in affitti solo dai ministeri ben 176 milioni vengono spesi contraendo “debiti fuori bilancio”: non ci sono i soldi stanziati, ma una certa amministrazione continua a stare in affitto spostando gli t agli anni successivi. Del resto l’esempio viene all’alto, con la Camera dei deputati ha firmato con l’imprenditore Sergio Scarpellini un contratto-capestro (a nulla alla fine sono valsi i tentativi del M5S di abrogarlo) per affittare per nove anni, rinnovabile per altri nove, senza possibilità di recesso, alcuni palazzi nel centro di Roma da destinare ai parlamentari. Il tutto per oltre 20 milioni l’anno.
Con la spending review in corso, il commissario Carlo Cottarelli, ha indicato un obiettivo rigoroso: scendere nell’arco di quattro anni da un miliardo di spesa per affitti a 80 milioni. Una riduzione del 92,7%. Ci sarà la volontà di farli, fra burocrati e politici? Solo per dare un’idea della portata dei progressi in corso, nell’ultimo anno il calo del monte locazioni è stato di circa lo 0,1%. Forse lo 0,2%. Di qui al 92,7% la strada non si presenta breve né in discesa. Soprattutto se lo Stato immobiliarista continua a privilegiare l’opacità.