Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, Corriere della Sera 6/4/2014, 6 aprile 2014
TRE SCELTE DURE. AVETE CORAGGIO?
È evidente che la regola europea che impedisce di superare il 3% nel rapporto fra disavanzo dei conti pubblici e prodotto interno lordo (Pil) ha scarsa giustificazione economica. Come disse una volta Romano Prodi, è indubbiamente «una regola stupida». Ma questo non è un motivo sufficiente per chiedere di esserne esentati, come ha fatto nei giorni scorsi il nuovo governo francese.
Nel 1998, quando l’Italia chiese di partecipare all’Unione monetaria, il nostro debito pubblico era il 113% del Pil. Fummo ammessi solo a fronte dell’impegno a dimezzarlo in tempi sufficientemente rapidi. Nel 2007, dieci anni dopo, il nostro debito era ancora superiore al 100%. Le privatizzazioni degli anni Novanta e soprattutto tassi di interesse più bassi, il maggior beneficio dell’euro, aiutarono, e non poco. Tuttavia, la spesa pubblica al netto degli interessi — il cui calo è condizione imprescindibile per ridurre stabilmente il debito — si mosse nella direzione opposta. Fra il 1999 e il 2007 aumentò di una quantità pari a due punti di Pil: dal 40,6% al 42,7%. (Ci fermiamo al 2007, l’anno precedente l’inizio della crisi, per sottolineare che quell’aumento delle spese non può essere attribuito alla crisi). Il 3% sarà anche una regola stupida, ma è l’unica forza che si oppone all’aumento delle spese, vista la nostra incapacità a contenerle.
Fra il 2001 e il 2005 la Germania superò per alcuni anni la soglia del 3%. Furono gli anni delle riforme Hartz che trasformando il mercato del lavoro tedesco interruppero il lungo declino dell’economia e posero le basi per la crescita della Germania nel decennio successivo. E furono anche gli anni in cui Berlino pose le basi per una riduzione strutturale della spesa pubblica, che poi infatti scese, al netto degli interessi, di quattro punti, dal 44,5 al 40,7% del Pil.
Come abbiamo più volte scritto, solo l’adozione di provvedimenti molto aggressivi per far ripartire l’economia giustificherebbe la richiesta di un’esenzione da quella regola. Quali? Tre, secondo noi. Un taglio immediato delle imposte che avvicinasse la pressione fiscale italiana al livello della Germania. Subito 50 miliardi di tasse in meno e non i 10 miliardi che il governo a fatica sta cercando di recuperare. Secondo, la contemporanea adozione di norme che, nell’arco di un triennio, riducano strutturalmente la spesa di un simile ammontare. Sappiamo bene che non è facile, ma l’Italia non si riprende senza uno choc. Infine, una riforma coraggiosa del mercato del lavoro. Supereremmo temporaneamente la soglia del 3%, ma ne varrebbe la pena e i nostri partner europei lo capirebbero.
Chiedere un’esenzione dalla regola del 3% senza contropartite (come sta facendo Parigi) non solo è inutile: è controproducente, perché aumenterebbe la percezione, a Berlino e nei mercati, che ancora una volta non sappiamo mantenere gli impegni assunti. Anche una politica di piccoli passi per non sforare il 3% sarebbe miope perché così la crescita non riparte. I provvedimenti che abbiamo citato sono tutte cose che Matteo Renzi condivide. Si tratta di adottarli e dopo, solo dopo, chiedere una temporanea eccezione alle regole.