Franco Abruzzo, 5 aprile 2014
(4.4.2014)
La vicenda, purtroppo, non cambia mai. Fino a qualche mese fa eravamo convinti che l’evasione fiscale in Italia fosse intorno ai 60 miliardi di euro all’anno. Ma adesso l’Agenzia delle Entrate (incaricata di riscuotere le tasse) ha rifatto bene i conti e sostiene che ogni anno gli evasori fanno sparire 90 miliardi di euro: dovrebbero versarli al fisco, ma invece li imboscano e non pagano. Se a questo si aggiunge che il costo “occulto” della corruzione sembra che ammonti a 60 miliardi (ma potrebbe essere anche di più), si arriva per queste sole due voci (poi ci sarebbe l’economia criminale) a un totale di 150 miliardi all’anno che il fisco dovrebbe incassare e che invece non vede nemmeno da lontano. La faccenda è seria perché con 150 miliardi in più nelle casse dello Stato questo sarebbe un paese diverso. Ci sarebbero in sostanza i soldi per fare quasi tutto: rimborsare poco alla volta l’immenso debito pubblico che abbiamo accumulato e fare un po’ di investimenti pubblici per rimettere in piedi l’occupazione. Non solo: probabilmente si potrebbe chiudere anche quella vergogna di 7 milioni di pensionati a meno di mille euro al mese, integrando il loro reddito in misura adeguata. La lotta all’evasione fiscale, e alla corruzione, sembra però a molti una battaglia impossibile. Lo Stato vi ha impegnato risorse ingentissime e ha elaborato meccanismi quasi diabolici (il redditometro, ad esempio, ma anche la trasparenza di tutti i conti bancari del paese). I risultati, però, non si vedono e nessuno si spinge a affermare che nel giro di poco tempo l’evasione fiscale sarà ridotta a valori fisiologici (oggi fra evasione e corruzione siano vicini al 10 per cento del Pil). Ci si può chiedere come mai? In parte questo dipende dal fatto che l’Italia ha un’economia fatta soprattutto di piccole realtà (l’azienda artigiana, il negozietto a gestione familiare, ecc.). Si tratta di un numero di soggetti elevatissimo: e non basterebbe un esercito per controllarli tutti in modo adeguato. Molti di questi poi sono “costretti” a evadere perché, se non lo facessero, la loro attività non starebbe più in piedi. E poi ci sono i grandi evasori, alcuni addirittura con attività industriali e commerciali alla luce del sole, che tentano il colpo di non dare niente al fisco. Ci provano perché, anche se scoperti, alla fine riusciranno a cavarsela con poco. Un modo per chiudere la partita di evasione fiscale e di corruzione ci sarebbe, e avrebbe anche un costo modesto. Non servirebbe nemmeno un agente del fisco in più e si potrebbe buttare il redditometro nel cestino della carta straccia. L’uovo di Colombo anti-evasione e corruzione ha un nome semplice: abolizione del contante. Se tutte le transazioni avvengono o con carte di credito e assegni (anche i pagamenti dal panettiere), tutto sarà tracciabile e sarà impossibile nascondere redditi e affari. Ma non c’è il rischio che si blocchi tutto? No. In fondo usare le carte di credito non è così complicato. Comunque, se non si vuole ricorrere a una misura così estrema, che però avrebbe il vantaggio di far rientrare 150 miliardi all’anno nelle casse dello Stato e di cambiare la qualità della nostra vita, si può ricorrere a una soluzione più blanda: limitare l’uso dei contanti a 100-200 euro. Il panettiere, quindi, potrebbe essere pagato in contanti, ma l’acquisto di un computer no. E per automobili di una certa cilindrata anche il pieno di benzina andrebbe fatto con carta di credito. Sono il primo, ovviamente, a rendermi conto che abolire il contante o limitarli a cifre molto piccole, all’inizio sarebbe una certa scomodità per i cittadini, ma i vantaggi sarebbero enormi. (IN http://rubriche.finanza.tiscali.it/socialnews/Turani/12888/articoli/)