Massimo Numa, La Stampa 4/4/2014, 4 aprile 2014
Dakar-Torino, la rotta della coca La confessione nel 2010 di un pusher consente ai carabinieri di ricostruire le vie della droga nel deserto Soltanto nel capoluogo una rete di 100 spacciatori
Dakar-Torino, la rotta della coca La confessione nel 2010 di un pusher consente ai carabinieri di ricostruire le vie della droga nel deserto Soltanto nel capoluogo una rete di 100 spacciatori. La merce trasportata dai corrieri in ovuli ingeriti Massimo Numa «Vi prego, aiutatemi, il racket ha già ucciso i miei familiari e ora tocca a me». Ottobre 2010, il pusher senegalese detenuto nel carcere di Alessandria chiede di parlare con i carabinieri del Nucleo Investigativo di Torino, che lo hanno arrestato per spaccio, e svela i segreti della Dakar-connection. Lui ha rubato 30 chili di cocaina alla sua organizzazione, potente e con saldi collegamenti nelle istituzioni locali. Per vendetta gli uccidono il padre e mutilano in modo orribile una sorella. Decine di pagine di verbale, con nomi, indicazioni geografiche, dettagli precisi al millimetro. Quattro anni dopo i carabinieri tracciano un primo bilancio di un’operazione internazionale in cui, oltre ad ingenti sequestri di cocaina, spuntano traffici di armi sullo sfondo di guerre civili e ramificazioni in tutta Europa. E un terminale italiano, a Torino, che utilizza ogni giorno un esercito di oltre 100 pusher e una serie di basi europee diffuse in Francia, Spagna, Portogallo, Svizzera e Germania. Sono 103 le persone denunciate, 36 gli arrestati, 42 i ricercati. Altri 14 narcos già colpiti da ordini di custodia cautelare. Diciassette i chili di cocaina sequestrati, su un totale di 100 entrati in Piemonte nel solo periodo dell’ultima parte dell’indagine, coordinata dal pm Paolo Cappelli. Un sistema semplice. La droga acquistata direttamente dai boss senegalesi con basi a Dakar nei mercati colombiani e custodita in due depositi, circondati da villaggi nati solo grazie alla narco-economia. Dall’Africa in Europa con la tecnica degli ovuli, inseriti nei corpi dei corrieri, uomini, donne e adolescenti. Vettore privilegiato l’aereo. Prima tappa in Spagna, Madrid, poi Malpensa. E percorsi in treno e in auto. I carabinieri del colonnello Domenico Mascoli arrestano, tra gli altri, un senegalese che ha ingoiato ovuli con un chilo e settecento grammi di cocaina. In caso di rottura, si muore di overdose in pochi minuti. Sennò, in cambio, sono pagati una miseria, rispetto al valore del carico. L’inchiesta continua, con la collaborazione delle polizie europee. Sino a quando i boss senegalesi, sotto pressione da parte degli investigatori, non decidono di passare un segmento del traffico a un maliano, Mohamed Traorè, con base in Spagna. Per comunicare con i complici Traoré parla in Songhai, un dialetto tribale. Grazie a un interprete, i file audio dei carabinieri vengono finalmente tradotti. Traorè, in cella dal 12 febbraio scorso, è coinvolto nella guerra civile che devasta il suo Paese. Finanzia l’acquisto di armi , destinate alle fazioni che si battono contro i Tuareg integralisti, con il narco-traffico. Un business da milioni di dollari al centro di una triangolazione da brivido: Sudamerica, Africa, Europa con rientro sotto forma di armi in Mali. Torino resta sullo sfondo. Con i suoi pusher senegalesi ai margini delle strade della movida, pieni di bracciali-amuleto. Simbolo di un racket spietato e globale.