Sabrina Champenoisi, la Repubblica 5/4/2014, 5 aprile 2014
Con Perfidia, primo volume di una nuova Tetralogia di Los Angeles, lo scrittore americano torna a immergersi nella storia degli Stati Uniti
Con Perfidia, primo volume di una nuova Tetralogia di Los Angeles, lo scrittore americano torna a immergersi nella storia degli Stati Uniti. L’occasione si è presentata il weekend scorso al decimo festival “Quaisdupolar” di Lione, a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione di due capitoli del suo prossimo libro, Perfidia. Il teaser assolve perfettamente il suo compito: questa quarantina di pagine, che si apre con il 6 dicembre 1941 e una serie di violenze carnali nei quartieri ovest di Los Angeles e si conclude con l’omicidio o il suicidio di una famiglia nella comunità giapponese, dà l’idea di un Ellroy più affilato di una spada. «Sono riversi sulla schiena. Sbudellati. Completamente sventrati. Gli intestini fuoriescono loro dall’addome e si spargono sul pavimento. Sono gli uni accanto agli altri, tutti e quattro: padre, madre, figlia, figlio. Si direbbe che sono stati disposti in questo ordine. Accanto a ciascuno di loro c’è una sciabola insanguinata». Il poliziotto in prima linea è Dudley Smith, personaggio emblematico del Dipartimento di polizia di Los Angeles e dell’opera di Ellroy. Le piace questa campagna promozionale, non è così? «Sì, mi piace soprattutto incontrare i miei lettori. Le interviste possono innervosirmi. Proprio adesso, per esempio, me la sono presa con un giornalista. Ho avuto l’impressione che mi mancasse di rispetto. Beh, la mia ex moglie Helen Knode, la mia più cara amica, anche lei scrittrice, mi ha detto: “Resta calmo e rifiutati di parlare di politica”». E lei obbedisce? «Certo! Perché, fosse per me, io amerei la bagarre. In effetti non serve a niente. La politica non ha niente a che vedere con questo libro.». Lei però dice che ormai è diventato un romanziere storico. Ebbene, la storia non nasce forse dalla politica? «A me va benissimo parlare di politica ai tempi della Seconda guerra mondiale. Ma non di politica contemporanea ». Lei vota? «Sì». ( Fa lo sguardo da “ non-mi chieda perchi”, grrr…) Ci parli di Perfidia, il primo tassello della sua nuova Tetra-logia di Los Angeles. ( Di nuovo rilassato) «È ambientata a Los Angeles e riprende alcuni personaggi della prima, ma negli anni della Seconda guerra mondiale. Voglio che questi undici libri costituiscano alla fine la realizzazione di una storia popolare dell’America. Si tratta anche di amplificarne l’effetto sui miei lettori, nel momento in cui mi trovo nella terza fase della mia vita». Come fa ogni volta a riprendere i contatti con i suoi personaggi? Come si ritrova? «I libri sono incisi nella mia memoria e a me piacciono le epopee. I libri epici, i film epici, la musica sinfonica… Mi piace la sfida di creare qualcosa di immenso. Sapendo che l’ho creato, anni fa, so che se posso immaginare qualcosa allora posso crearlo. Perfidia è un libro voluminoso, di 650 pagine, che uscirà in inglese questo autunno. Evoca un episodio molto noto negli Stati Uniti e soprattutto a Los Angeles. Questo grande porto conteneva una notevole comunità di giapponesi d’origine o di americani di origine giapponese. All’improvviso, la città è stata considerata un luogo molto propizio al sabotaggio e molti sono stati internati, senza alcuna certezza che fossero colpevoli. Si è trattato di un caso di isteria dovuta alla guerra, mescolata all’isteria razziale». Ha dunque intenzione di rendere giustizia? «No. Non ho alcuna motivazione morale per farlo, si tratta soltanto di una parte della storia di Los Angeles. Fu un errore, e voglio spiegarlo. Voglio spiegare l’atmosfera dell’epoca, il clima avvelenato». Sarebbe una cantonata considerarla un inconsolabile, un idealista deluso? «Io sono un grande idealista. Ma inconsolabile no. Sono un uomo felice. Felicissimo». Non è in collera con l’America? «Ah, no! Provo simpatia per gli Stati Uniti e penso che siano una forza del bene. Ma penso anche che ci sono state alcune menzogne. Mi rende felice scrivere, perfino scrivere di menzogne. Non sono di certo un giustiziere!». Dato che lei utilizza spesso termini in slang, come “negri”, “gialli”, “mori” alcuni giungono alla conclusione che lei è un bianco razzista e suprematista. Che cosa risponde? «Niente. Io non rispondo a questo genere di domande. Che la gente pensi pure quello che vuole. I miei personaggi sono profondamente americani e America ha sempre fatto rima con diversità. La diversità non è una questione di colore della pelle, di orientamento sessuale, di origine etnica. È una questione di volontà individuale, di idee nelle quali si crede, di come si ha un’influenza diretta sul corso delle cose». Scrivere è ancora piacevole per lei? «Lo è sempre di più. Perché sono nel periodo creativo più fecondo della mia vita». Ha forse intenzione di scrivere il suo nome nella Storia? «Voglio riscrivere e ricreare la storia umana segreta della storia degli Stati Uniti, della storia di Los Angeles, e racchiudere le storie personali negli eventi pubblici, fondere i due». La scrittura è per lei una cappella nella quale rifugiarsi? È l’unica? «Sono cristiano, credente e praticante». Perché? «Basta. Fermiamoci qui, se non le spiace». L’estratto di Perfidiaè preceduto da Extorsion, romanzo breve su Freddy Otash, la star del giornale scandalistico Con-fidential. Le piace Otash? «Ah no! Otash è divertente, attraente, ma è un essere umano crudele. Divulga i segreti della gente per arrecarle danno. Niente è più personale, intimo, e rivelatore della vera natura delle persone della sessualità, e io sono un voyeur, un guardone, mi piacciono i segreti, il fango, la merda. Ma RITRATTO DI RICCARDO MANNELLI non li utilizzerei mai per ferire ». Lei è stato un alcolizzato e un tossicomane. Come ne è uscito, con la scrittura? «No, grazie a Dio. Dio è entrato nella mia vita, e io sono tornato ‘pulito’. La scrittura è venuta dopo». Segue la cronaca? «Me ne parlano gli amici. E poi spalanco gli occhi e le orecchie, e questo mi basta per supplire alle mie lacune. Stiamo vivendo una crisi spirituale profonda, la gente ormai è alla ricerca dell’istante, non dell’eternità, e prova il bisogno di riempirsi ad libitum di informazioni, di immagini… Non è neanche più capace, quando è in automobile, di fermarsi al semaforo rosso e di aspettare con pazienza, senza fare nulla, standosene semplicemente lì… Tutti sono assorbiti e immersi nei loro cellulari, i loro tablet. È pazzesco! Mi è capitato più volte che ci mancasse un pelo a essere travolto. Io ho bisogno di tempo per rimuginare. Rimugino molto. Sono un perverso. Sono un voyeur. Sono uno sciacaaaallo! Lo dico in riferimentoa Lo sciacallo, illibro di Frederick Forsyth sull’attentato di Petit-Clermand, che di recente ho riletto… De Gaulle, l’Oas, l’Algeria, i parà, e lo sciacallo: questo genere di cose fa di un libro un buon libro ».