VARIE 4/4/2014, 4 aprile 2014
DEFLAZIONE
WIKIPEDIA
La deflazione è, in macroeconomia, una diminuzione del livello generale dei prezzi[1].
Il fenomeno opposto si definisce inflazione. La deflazione non va confusa con la disinflazione, che descrive semplicemente un rallentamento del tasso di inflazione.
La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, i quali poi attendono ulteriori cali dei prezzi, creando una spirale negativa. Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori.
La riduzione dei prezzi si ripercuote per le imprese sui ricavi, anch’essi generalmente in calo. Ne deriva il tentativo da parte delle imprese di ridurre i costi, attraverso la diminuzione dei costi per l’acquisto di beni e servizi da altre imprese, del costo del lavoro e tramite un minor ricorso al credito.
Casi di forte deflazione possono indurre il fenomeno della tesaurizzazione, intesa come incetta dell’unità monetaria della quale si prevede un ulteriore aumento del potere d’acquisto. Secondo Keynes, in tempi di crisi il risparmio è distruttivo perché se tutti risparmiano la domanda aggregata diminuisce e con essa diminuisce la ricchezza in quanto diminuiscono produzione e occupazione, dunque aumentando la massa liquida a disposizione si favorisce la speculazione e non gli investimenti. La tendenza al risparmio e all’accumulazione di denaro sono, sempre secondo Keynes, le caratteristiche peculiari della crisi. (Paradox of thrift)
Una situazione di deflazione si verificò in Giappone fra il 2000 e 2006, con la Banca Centrale costretta a fissare un tasso d’interesse allo 0%, per favorire la liquidità circolante.
Nel mese di luglio 2009 la Germania è entrata in deflazione con una contrazione dei prezzi al consumo, secondo una prima stima dell’Ufficio Statistico Federale, del -0,6% su base annua: non succedeva dal 1987. È recente (il dato è riferito a maggio 2009) anche la diminuzione del livello generale dei prezzi in USA dove nel periodo maggio 2008- maggio 2009 la deflazione ha fatto registrare un valore uguale a -1,3%.
L’andamento deflativo dei prezzi tende a verificarsi come conseguenza di una recessione per la diminuzione della domanda aggregata di beni.
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Tutti felici perché cala lo spread, ma potrebbe essere una illusione...
Non tutti si rendono conto che, se il calo del differenziale BTP/BUND si accompagna ad una consistente riduzione del tasso di inflazione (come sta avvenendo), il peso reale del debito rimane uguale. Anzi: gli economisti temono che l’Europa cada in deflazione, una condizione economica caratterizzata da una generale riduzione dei prezzi e dunque dalla rivalutazione della moneta.
Ma allora la riduzione dell’ammontare degli interessi che lo Stato Italiano dovrà pagare per il servizio del debito (che deriva dalla riduzione dello spread) diventa un fatto puramente numerico. Per capire il ragionamento proviamo a rappresentare il debito pubblico in quantità di pane, carne, benzina o latte anziché in euro. Se i prezzi calano e l’euro si rivaluta aumenterà la quantità di “sacrificio reale” ovvero la quantità di pane, carne, benzina o latte necessaria per ripagare il debito in natura.
E allora, forse, l’austerity di Monti, di Letta e della Merkel la pagheremo cara. Altro che riduzione del debito pubblico! Ci ritroveremo addosso un debito minore dal punto di vista numerico, ma più faticoso da ripagare con il nostro lavoro.
La politica monetaria imposta dalla Germania è tutta tesa a tutelare il valore “numerico” della moneta anziché a favorire lo sviluppo. La Merkel vuole un euro forte, ma il problema vero è lo sviluppo economico, non il valore “fittizio” della moneta. Se il reddito pro-capite degli Italiani diminuirà più di quanto caleranno i prezzi il debito pubblico non sarà più lieve di quanto lo sia ora, e nel contempo si ridurrà, per gli Italiani, la quantità di pane, carne, benzina o latte che possono comprare.
Chi ha soldi in banca non se ne curerà troppo, anzi, il suo patrimonio si rivaluta. Chi chi per mangiare ha bisogno di un reddito si attacca.
DRAGHI
REPUBBLICA.IT
ROMA - La Banca centrale europea ha simulato gli effetti economici che deriverebbero dall’acquisto di asset per 1.000 miliardi di euro nell’ambito di un programma di quantitative easing: a seguito di un’operazione del genere l’inflazione salirebbe di 0,2-0,8 punti percentuali, a seconda dei modelli economici. "Il problema - ha detto una fonte della Bce al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) - è se il mercato del debito privato in Europa è grande abbastanza per il quantitative easing". No comment dall’Eurotower.
L’ipotesi, però, è sul tavolo. Proprio ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, lasciando fermi allo 0,25% i tassi d’interesse aveva aperto all’utilizzo di nuovi strumenti straordinari per aumentare la liquidità in circolazione e rilanciare l’economia. L’acquisto di titoli di Stato andrebbe proprio in questa direzione, mentre la Fed Usa sta pian piano allentando proprio i suoi acquisti di titoli sul mercato. Il piano americano prevedeva acquisti di titoli per 85 miliardi di dollari, ora ridotto a 55 miliardi, entro marzo del prossimo anno potrebbe arrivare a zero.
L’inflazione in Europa è ferma allo 0,5% e la Bce potrebbe rilanciarla mettendo sul piatto fino a 80 miliardi di euro al mese in acquisto di obbligazioni. Solo pochi giorni fa in questo senso si era espresso anche il "falco"
Jens Weidmann, presidente della Bundesbank e membro del consiglio della Bce che aveva detto: "Le azioni di quantitative easing non sono assolutamente da escludere, ma dobbiamo fare attenzione che venga rispettato il divieto di finanziamento pubblico con la stampa di moneta". Weidmann aveva anche detto che in questo modo l’euro sarebbe potuto salire abbastanza da impattare l’inflazione.
(04 aprile 2014)
CORRIERE.IT
La Banca centrale europea avrebbe sviluppato dei modelli economici per l’acquisto di 1.000 miliardi di titoli. Lo scrive il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, aggiungendo che il piano di allentamento monetario (quantitative easing) farebbe aumentare l’inflazione di 0,2-0,8 punti percentuali. In altre parole, Se la Bce iniettasse mille miliardi di euro nell’economia dell’Eurozona acquistando titoli e altre attività, il tasso di inflazione nell’unione monetaria registrerebbe in un anno un incremento tra gli 0,2 e gli 0,8 punti percentuali. L’obiettivo è quello di allontanare lo spettro della deflazione (calo dei prezzi) che comprometterebbe la debole ripresa in atto. Intanto, il giorno dopo le parole del presidente Bce Mario Draghi, lo spread tra Btp e Bund tedesco è scivolato sotto quota 160 punti (159,5) per la prima volta dal 2011. Inoltre, il tasso del Btp decennale è al 3,15%, al suo minimo da almeno una decina d’anni.
Quanto alle Borse, i listini europei hanno chiuso in rialzo sulla scia delle indiscrezioni riportate dalla «Faz». L’indice Ftse Mib di Milano ha segnato un incremento dello 0,83% a 22.175,48 punti dopo aver toccato un massimo da tre anni a 22.210,34 punti. Il Dax di Francoforte è salito dello 0,7% a 9.695,77 punti, l’Ftse 100 di Londra dello 0,7% a 6.695,55 punti, il Cac 40 di Parigi dello 0,79% a 4.484,55 punti e l’Ibex di Madrid ha guadagnato lo 0,88% a 10.677,2 punti. Resta ora da vedere se i rialzi saranno duraturi.