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 2014  aprile 04 Venerdì calendario

I PORTOGHESI ORMAI STREMATI SI GIOCANO IL RILANCIO SULLA LOTTERIA ANTI-EVASIONE


Davanti a un dente di dinosauro, Octavia Rosario dice che più un Paese ha una storia lunga e antica, più oggi soffre della crisi dell’Europa. «Ma guardi l’Italia e la Grecia», spiega. «Una grandissima storia e una grandissima crisi. E guardi noi portoghesi. Abbiamo scoperto mezzo mondo, con le nostre navi, e in questa terra, in questo museo, si può trovare il massimo di quel che la preistoria può raccontare: e siamo finiti in una crisi colossale». Octavia, 22 anni, studia archeologia ed espone le sue teorie storico-politiche nel museo di Lourinh, una cinquantina di chilometri a nord di Lisbona. La preistoria, in effetti, non può essere messa in dubbio in questo villaggio di nemmeno novemila abitanti, famoso per il suo brandy. Qua attorno, verso le scogliere che danno sull’Atlantico, sono stati trovati i resti di quello che è considerato il maggior predatore terrestre esistito in Europa, un dinosauro giurassico diverso da quelli prima conosciuti: denti taglienti come coltelli invece che le “banane” del Tirannosauro.
La storia e la preistoria ci sono. Legarle, come fa la signorina Rosario, alla crisi che ha portato il Portogallo a chiedere all’Europa e al Fondo monetario internazionale, nel 2011, un salvataggio da 78 miliardi di euro è a dire il vero un passo azzardato. Qualcosa, però, nell’argomentare della studentessa non è fuori dalla realtà. Non che avere una storia antica predisponga a non tenere i conti pubblici in regola e a non sapere rispondere alle crisi finanziarie. Piuttosto, è vero che alcuni Paesi con una storia e con un’idea di se stessi forti e consolidate nell’antichità sono meno propensi, più lenti di altri ad accettare prontamente le regole della modernità e gli obblighi imposti dalla globalizzazione dei mercati e della finanza. Il Portogallo, che pure alla crisi sta rispondendo, è un caso evidente di questa tendenza: da una parte cerca di fare i famosi “compiti a casa” dettati da Angela Merkel, cioè di riformare la sua struttura economica per mettersi in linea con le esigenze dell’oggi. Dall’altra, come accade in Italia e in Grecia, non disdegna scorciatoie spesso curiose.
C’è per esempio un problema di evasione fiscale, anche questo curiosamente caratteristico, anche se non esclusivo, di società con radici nell’età classica. Il governo di Pedro Passos Coelho cerca di dare una soluzione creativa alla questione. Da questo mese, dunque, i buoni cittadini che si battono contro l’evasione avranno una chance di sfrecciare lungo la costa atlantica in una super-auto di lusso. Chi andrà dal parrucchiere, dal meccanico, al ristorante o al bar, chi si rivolgerà al falegname e al dentista potrà chiedere una ricevuta sulla quale dovrà essere riportato il proprio numero personale fiscale. Queste ricevute entreranno poi in una lotteria nazionale che mette in palio ogni anno 60 auto di alta gamma, del valore di 90 mila euro ciascuna. Il metodo non è esattamente fondato sul senso del dovere verso lo Stato, è poco “tedesco”, anche se poi le fuoriserie magari lo saranno. È però un modo pragmatico – se avrà successo – per cercare di ridurre l’evasione e aumentare le entrate fiscali: il governo, forse un po’ ottimisticamente, conta di aumentare quest’anno le entrate da transazioni commerciali del 50%.

Nel ricordo di Macao. L’iniziativa ha naturalmente sollevato proteste e perplessità. I verdi dicono che così si incentiva l’inquinamento da Suv e si disarma culturalmente il trasporto pubblico. I liberali sostengono che in questo modo si cerca di trasformare i cittadini in controllori fiscali per coprire l’incapacità pubblica di raccogliere le tasse. I nazionalisti dicono che il metodo è un’umiliazione per uno Stato che un tempo aveva un grande rispetto di se stesso, governava in terra e dominava le onde senza ricorrere a trovate da lotteria. E comprensibilmente le organizzazioni dei commercianti hanno calcolato che mettere su ogni scontrino il numero fiscale di ogni acquirente, nove cifre, li costringerà a uno sforzo pari a 130 milioni di ore di lavoro in più, qualcosa che difficilmente può contribuire all’aumento della produttività e della competitività di cui il Portogallo ha bisogno. Il punto di forza della lotteria sta invece nel fatto che i portoghesi sono tra i maggiori scommettitori d’Europa, amano affidarsi alla fortuna e il modello lo hanno, in fondo, esportato anche nella città a maggiore densità di gioco d’azzardo del pianeta, la ex colonia Macao. Saranno le radici nell’antichità, sarà la disperazione del post crisi con la disoccupazione a oltre il 15% e un programma di taglio delle spese straordinario, fatto sta che il governo di Lisbona ricorre a ogni mezzo per presentare conti in ordine alla troika.
Troika, in effetti, è probabilmente il termine politico più usato degli scorsi tre anni in Portogallo. Si tratta degli inviati del Fondo monetario internazionale (Fmi), dell’Unione europea e della Banca centrale europea che hanno il compito di controllare passo dopo passo la realizzazione degli impegni che Lisbona ha sottoscritto quando ha chiesto un prestito urgente: non era più in grado di raccogliere denaro sul mercato dei capitali, i tassi d’interesse che doveva pagare erano esplosi a oltre il 15% e ha dovuto accettare condizioni pesanti dei “salvatori”. Per rispondere alle richieste della troika, il governo ha posto in essere misure drastiche e ortodosse: ha tagliato le pensioni e i salari dei dipendenti pubblici (difesi dalla Corte costituzionale), ha liberalizzato una serie di settori economici, ha riformato il mercato del lavoro. Ma accanto a queste ha preso una serie di misure meno ovvie, dalla lotteria all’incentivazione del lavoro in agricoltura per i giovani disoccupati, alla vendita (poi abortita) di quadri di Miró.
Se si guarda a quello che interessa alla troika, il risultato non è male. Quest’anno l’economia dovrebbe crescere attorno all’1,2%, dopo essere crollata del 5,7% tra il 2010 e il 2013. Le esportazioni sono in grande crescita, tanto che la bilancia dei conti correnti è positiva per la prima volta in due decenni (grazie ai miglioramenti della produttività ma soprattutto grazie alle esportazioni energetiche del gruppo Galp Energia). Il turismo è in pieno boom, con entrate superiori del 20% a quelle del 2010. Su queste basi e soprattutto grazie alla caduta dei tassi d’interesse sui titoli pubblici sotto al 5%, a inizio gennaio lo Stato ha emesso senza difficoltà bond per 3,25 miliardi, con l’obiettivo di costruire, oggi che i mercati sono benevoli, un solido cuscinetto finanziario per quando il piano di salvataggio avrà cessato di funzionare, la copertura dell’Europa e dell’Fmi non ci sarà più e il Paese dovrà cavarsela da solo. Il governo di centrodestra, infatti, punta a uscire tra qualche mese dal programma di obblighi legato al salvataggio del 2011 e muoversi autonomamente sui mercati: sarebbe un segno dell’allentamento della crisi finanziaria nell’Eurozona, dopo che l’Irlanda ha già abbandonato il suo piano di salvataggio e poco prima che lo faccia la Grecia, forse entro l’anno.
È un passo rischioso, però. La disoccupazione rimane sopra al 15%. Il debito pubblico, che la troika prevedeva al 115%, è ormai attorno al 130%. E l’Fmi dice che le riforme sono state positive ma insufficienti: gli investimenti non decollano, il debito delle imprese rimane sopra al 155% del Prodotto interno lordo nonostante la contrazione fortissima del credito degli anni scorsi, i prezzi dell’elettricità restano alti e gli stessi guadagni di produttività – dice l’Fmi – rispetto ad altri Paesi dell’area euro “sono stati in qualche modo al di sotto della media”.
È che per attraversare la drammatica crisi il governo ha cercato di dare fondo a tutte le risorse, ha tentato di essere il più creativo possibile e spesso ha raschiato il barile. In qualche caso senza successo, perché ogni iniziativa suscita reazioni forti. La Corte costituzionale, per dire, ha cercato di favorire le riforme, ciò nonostante ha bocciato il 18% (in valore) delle iniziative del governo, per 1,7 miliardi: ha per esempio approvato l’estensione della settimana lavorativa per i dipendenti pubblici da 35 a 40 ore settimanali ma, in un clima di forte tensione sociale, ha bocciato tagli alle pensioni e agli stipendi degli stessi impiegati dello Stato. Su un altro fronte, il governo ha effettuato una serie di privatizzazioni, come promesso alla troika. Ma la vendita di 85 opere di Miró – stimate attorno ai 50 milioni, provenienti da una banca nazionalizzata – è fallita poche ore prima dell’asta, formalmente perché un tribunale ha stabilito che Christie’s aveva trasferito a Londra le opere senza autorizzazione, più probabilmente a causa delle proteste sollevate da molti contro “la svendita di una parte del patrimonio nazionale”.
Dopo gli anni durissimi della crisi, i portoghesi affronteranno le elezioni di maggio per il Parlamento europeo piuttosto stremati. E, pare, insoddisfatti della democrazia. In un sondaggio recente, hanno detto di trovare deficit di democrazia in particolare nel cattivo funzionamento del sistema giudiziario, nell’incapacità dei governi di assicurare una certa giustizia sociale e “nella sensazione di mancanza di controllo popolare sul potere politico”. La crisi, però, non sembra avere allentato lo spirito di unità nazionale. E qui torna la storia. Il 60% di coloro che hanno risposto a un sondaggio condotto dall’Università Cattolica di Lisbona dice di mettere “molto orgoglio” nel fatto di essere portoghese e la ragione più forte sta nella storia del Paese. Per l’85% il primo elemento di unità nazionale è la rivoluzione dei garofani del 25 aprile 1974 che pose termine alla dittatura e aprì la via all’ingresso nell’Unione europea (1986). Ma il 77% cita anche i viaggi alla scoperta di nuovi mondi, il 59% l’indipendenza di Timor Est, il 39% le guerre coloniali e la decolonizzazione e il 33% l’arrivo della troika nel 2011.
È questa, in fondo, l’Europa, che andrà a votare a maggio per un parlamento unico. Tante storie nazionali, tra modernità e giurassico.
@danilotaino
7 - continua