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 2014  aprile 04 Venerdì calendario

“NOI DELLO ZOO DI COPENHAGEN APPLICHIAMO LE LEGGI DELLA SAVANA”


Copenhagen.
Le sette giraffe sembrano danzare attorno a un cerchio, voltandosi insieme al più piccolo rumore. Però ne manca una. Si chiamava Marius, aveva occhi enormi e languidi, il 9 febbraio l’hanno uccisa sparandole un chiodo in testa, poi l’hanno squartata per mostrare ai bambini com’era fatta dentro, tipo quando si smonta un giocattolo, infine l’hanno data in pasto ai leoni. E proprio quattro di quei felini li hanno uccisi col veleno, un mese dopo. La giraffa perché “impura”, nata da un rapporto incestuoso. I leoni perché di troppo. Qui, nello zoo di Copenhagen. Un impeccabile mattatoio.
Forse è un bioparco, o magari una prigione, non un millimetro fuori posto. Sui vialetti pettinati dai giardinieri, mamme e papà spingono i figli dentro carrettini di legno, dài che si va a vedere com’è fatto il cuore di un giraffa. «Un organo interessantissimo, enorme, non capita tutti i giorni di guardarlo da vicino». Steffen Straede è il direttore dello zoo. «Il nostro parco è riconosciuto a livello mondiale per l’attenzione e la cura verso gli animali, che noi amiamo e rispettiamo. Però li vogliamo sani e chi non è adatto non può sopravvivere».
Si chiama eugenetica, è la selezione della razza: niente concepimenti tra consanguinei, indeboliscono la discendenza. Il povero Marius era un nodo di cromosomi vaganti. Sterilizzarlo, no? «Ci sarebbero stati effetti collaterali troppo gravi». Bengt Holst, capelli a spazzola, sguardo ghiacciato, dirige il dipartimento scientifico di questo giardino zoologico tra i più antichi d’Europa, aperto nel settembre 1859 grazie alla passione dell’ornitologo Niels Kjaerboelling. I busti in marmo degli antichi direttori sbucano tra cespugli e siepi, un po’ sinistri. «Seguiamo un progetto europeo per creare una popolazione di giraffe sane, non imparentate, animali che si ammaleranno meno degli altri: la selezione esiste anche in natura, dove i leoni sbranano le gazzelle per mangiarle».
Le scritte fuori dal recinto, accanto ai cartelli con i nomi degli sponsor, si comprendono anche senza conoscere il danese. Dicono: “veterinaer-medicin” e “genetik”. La targa più beffarda, questa però in inglese, spiega che le giraffe hanno “life expectancy: 25-30 years”, come no, peccato che Marius sia stato abbattuto dopo appena diciotto mesi, e stava benissimo. Nel 1946 qui morì un orbettino, insomma una biscia, nome scientifico Anguis Fragilis , che era un’autentica attrazione e viveva dal 1892, da 54 anni. Chissà che invidia, povera giraffa.
Ogni giorno vengono organizzati incontri didattici per le scuole, e quando un animale muore, possibilmente di morte naturale, è sezionato in pubblico. Bambini e genitori scattano fotografie, fanno domande. È successo anche con Marius, nella spianata dove le sette giraffe superstiti si muovono nel silenzio di un pomeriggio freddo di sole, creature solenni e remote. Chi sarà il prossimo a cadere? Erano lunghissimi i coltelli usati per la dissezione. «Non sarebbe stato giusto usare l’iniezione letale, perché così avremmo avvelenato centinaia di chili di carne senza poterli usare come cibo per le altre bestie», spiega Holst. Infatti, quel che restava di Marius è stato trascinato nel grande fossato dove una leonessa dorme languida, addosso al suo leone. Due esemplari giovani e stupendi, arrivati il 23 marzo. Per fare posto, sono stati abbattuti il vecchio leone (16 anni) e la vecchia leonessa (14). «Purtroppo, nessun altro zoo ce li ha richiesti e il regolamento proibisce di vendere gli animali». Con loro, eliminati anche i cuccioli, due gattoni di dieci mesi: «Alla prima occasione i leoni giovani li avrebbero sbranati».
Una torre vagamente carceraria, a forma di Tour Eiffel, permette ai visitatori di ammirare tutto dall’alto. E nell’aria c’è la tristezza da reclusione tipica di ogni zoo. Persino gli sguardi di certe bestie sembrano difficili da sostenere: l’elefante spinge la proboscide tra le sbarre e che gliene importerà se la sua casa, una doppia cupola di vetro e cristallo, l’ha progettata addirittura Norman Foster per celebrare i 140 anni del parco. Arte e ferocia, questo è anche il paese di Lars Von Trier. Nei punti strategici ci sono materassi dove il pubblico può sostare, osservando. Tra tunnel, passerelle, casette di legno e ponti sospesi si sfiorano esemplari rari come il caracal, un micione con enormi orecchie a punta, oppure il diavolo della Tasmania: il suo recinto è vuoto, non avranno mica fatto fuori anche lui?
Fenicotteri rosa e autopsie a cielo aperto, dentro una chiarissima luce nordica. Vita, morte, bellezza, sangue. Tutto insieme. Nella vasca degli orsi polari rosseggia un’enorme carcassa. «A queste bellissime bestie non possiamo certo dare crocchette », scherza il dottor Straede. Animali sani e duraturi significano anche conti in regola, minore manutenzione e maggiore efficienza, però adesso qualcosa scricchiola: dopo le uccisioni delle ultime settimane, i visitatori sono in calo. Pare siano addirittura arrivate minacce di morte. Associazioni animaliste chiedono di boicottare e chiudere lo zoo, istituzione crudele e forse anacronistica, eppure i bambini sembrano gradire, vogliono in dono i peluche dei distributori automatici messi in ogni angolo del parco, infili la moneta ed esce la bestiola: lei, almeno, non corre nessun rischio. Invece, un lupo vero per non sbagliarsi si nasconde, è un’ombra nel bosco come quello delle favole. Mica per niente siamo nella patria di Hans Christian Andersen, ma qui il brutto anatroccolo non fa in tempo a diventare cigno.
Dal nostro inviato Maurizio Crosetti.