Vittorio Zucconi, la Repubblica 4/4/2014, 4 aprile 2014
QUEI SEI ASTRONAUTI CHE VAGANO NEL CIELO L’ULTIMO FILO CHE UNISCE MOSCA E WASHINGTON
Washington.
Fragili come neonati in un’incubatrice sospesa a 400 chilometri di altezza sopra la Madre Terra, i sei astronauti chiusi nella Stazione Spaziale Internazionale sono gli ostaggi della mini Guerra Fredda. Ma sono anche l’ultimo filo che impedisce a Stati Uniti e Russia di perdersi nel vuoto di un conflitto, condannandoli a essere i primi naufraghi nella tempesta cominciata dall’Ucraina.
Per sopravvivere, per respirare, per mangiare, i sei viaggiatori della Stazione Spaziale Internazionale dipendono da quell’ultimo cordone ombelicale che li lega al cosmodromo di Baikonour, in Kazakhstan, e che Putin soltanto stringe fra le dita. Da quando la Nasa ha dovuto rottamare le sue navette nel 2011 e rinunciare, per mancanza di finanziamenti, a lanci di missioni umane, soltanto la “Soyuz” russa continua a fare la spola fra le steppe dell’Asia Centrale e l’ISS, il laboratorio nel cielo.
E quando Putin ha deciso di annettersi la Crimea e Obama ha risposto cominciando a chiudere uno dopo l’altro i circuiti di collegamento fra le due nazioni in cagnesco, qualcuno si è ricordato che attorno al pianeta girano alla velocità di 27 mila chilometri all’ora tre russi, due americani e il comandante dell’equipaggio, un giapponese.
La più grande incubatrice del mondo, con le sue 500 tonnellate costruite dalla Boeing per 180 miliardi di dollari, è stata esentata dalle sanzioni e della ripicche russo americane che avevano investito anche la Nasa. All’agenzia spaziale americana era stato proibito qualsiasi contatto con i colleghi di Roskosmos incluse telefonate, teleconferenze via Skype e addirittura scambi di email.
Il vice amministratore della Nasa, Michael O’Brian era stato drastico e soltanto l’intervento del suo superiore diretto, Charles Bolden, ha chiarito che dal boicottaggio era esclusa la ISS, la International Space Station. Quel progetto che dal 1998 dovrebbe essere il monumento futuristico alla cooperazione e all’amicizia fra tutte le nazioni con programma spaziali civili, come la Nasa, l’Esa europea, la Roskosmos.
Washington non aveva scelta. Gli Stati Uniti, la nazione che aveva stravinto la prima fase della corsa spaziale, la prima potenza capace di portare sulla Luna e riportare a casa esseri umani si trova, 45 anni dopo le impronte di Neil Armstrong sulla polvere del Mare della Tranquillità, completamente in balia dei russi per lanciare, e riprendere, gli uomini e le donne dispersi nella Stazione Orbitante.
Non soltanto l’unica navetta in attività è la Soyuz, la “Unione”, una navicella che ancora porta puntigliosamente il nome derivato da Unione Sovietica e risale nella prima versione al 1967. Ma la Nasa dipende pesantemente dai russi per motori, navigazione satellitare, rifornimenti di viveri e pezzi di ricambio. In attesa che il Congresso riapra il borsellino o che, più probabilmente, siano imprenditori privati a costruire i successori dello Shuttle con personale.
Costretta a inghiottire la propria ormai umiliata alterigia, la Nasa, la adorata signora dello spazio oggi cliente dei rivali di ieri, ha dovuto guardare impotente la Soyuz raggiungere la Stazione Spaziale giovedì 27 marzo con i nuovi tre uomini di equipaggio, Steven Swanson l’americano, e i due russi Alexander Skvortsov e Oleg Artemyev. Poi affidarsi alla società privata Space X per il lancio del Dragon, un cargo spaziale con viveri e materiali, il 30 marzo.
Il costo del biglietto per raggiungere la Stazione Spaziale è ormai di 70 milioni di dollari, andata e ritorno, che Washington versa a Mosca. Ma questi sei uomini che si dividono gli abitacoli a 400 chilometri, mantenuti artificialmente in uno stato di microgravità alla pressione atmosferica del livello dei mari terrestri, a temperatura costante nella loro incubatrice, sono insieme ostaggi e garanzia che almeno l’ultimo fusibile nella rete di collegamenti fra Usa e Russia non sarà fatto saltare.
Qualcuno, per alleviare l’umiliazione di questa Nasa non più signora ma cliente, ha notato come l’ultima Soyuz lanciata la scorsa settimana ha avuto un guasto serio. Uno dei motori non ha funzionato e questo ha rallentato la rincorsa all’ISS. Sarebbe dovuto durare per quattro orbite, ma la navetta ha dovuto girare per 32 volte attorno alla Terra, acquistando velocità come il peso alla fine della catena di un martellista. Ecco, le cose fabbricate in Russia funzionano sempre un po’ a spanna. Ma almeno ci sono.
Vittorio Zucconi