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 2014  aprile 04 Venerdì calendario

ENERGIA, GUERRA DI LUNGO TERMINE


La Russia ha vinto le prime battaglie. Ma sul lungo termine rischia di perdere la guerra. Se le relazioni energetiche tra Paesi consumatori e produttori potessero essere paragonate a un lungo conflitto, nell’arco di 10 anni o poco più l’impero di Vladimir Putin vedrà eroso il suo potere di influenzare la geopolitica dell’Europa e di altri Paesi ricorrendo alla più persuasiva delle armi: il gas naturale.
Per quanto il rapporto tra Bruxelles e Mosca non sia mai stato idilliaco, l’Europa ha spesso assunto verso la Russia, obtorto collo, un atteggiamento se non passivo, comunque non intransigente. Come nel caso dell’annessione della Crimea. Gli Stati Uniti possono permettersi minacce che ricordano i tempi della Guerra fredda, e contemplare sanzioni pesanti. Per Bruxelles un embargo sull’energia resta improbabile. Il cordone ombelicale energetico che lega l’Europa alla Russia non può essere reciso. Alternative non ce ne sono, per ora.
«Dalla Russia - spiega Davide Tabarelli, direttore di Nomisma energia - ogni anno transitano verso l’Europa 130 miliardi di metri cubi (m3) di gas, circa il 25% dei consumi. L’Italia nel 2013 ne ha presi 22 miliardi, un terzo del suo fabbisogno. La Russia è sempre stata il fornitore di gas più affidabile per noi. Dal 1974 a oggi, abbiamo importato 525 miliardi di m3 da Mosca e 548 miliardi da Algeri. Non è ipotizzabile rinunciare a Mosca. Ma non si può pretendere dall’Algeria grandi volumi addizionali perché, per quanto ricchissima di gas, la mancanza di investimenti ha fatto sì che si tratti di gas solo virtuale».
In ballo c’è anche il petrolio. «Oltre a esser sempre stato un partner affidabile, nel 2013 la Russia è stata il nostro primo fornitore di greggio con il 19,1% del nostro import complessivo - spiega Pietro De Simone, direttore dell’Unione petrolifera italiana -. Le fonti di approvvigionamento per il petrolio sono più sparse e flessibili. Ma trovare sui mercati spot alternative all’Ural che acquistiamo dalla Russia - una qualità pesante - costerebbe probabilmente di più, anche in termini di trasporto».
Lo shale gas che potrebbe arrivare dagli Usa non è certo la panacea per i mali europei. Lo conferma il noto analista Robert Cutler, dell’Institute of European, Russian & Eurasian Studies, alla Carleton University. «Lo shale gas americano non può sostituire i volumi del gas russo, comunque non subito. Ci vorranno almeno due anni prima che vengano realizzati i terminali per l’export di gas naturale liquefatto (lng). Ma è un atto simbolico, il segnale che l’Occidente vuole alleviare la dipendenza dalla Russia». Simbolico anche perché - al di là dei volumi più ridotti di quelli russi - sul mercato spot dell’Lng si aggiudicherà il gas chi sarà disposto a pagarlo di più. «Non possiamo obbligare chi vende Lng a darlo agli europei a 30 centesimi al m3 quando i giapponesi lo comprano a 50», continua Tabarelli. Quale soluzione, allora? «Potremmo anche fare a meno della Russia - precisa Tabarelli - ma il conto da pagare sarebbe altissimo, come nelle rinnovabili. Ci sono però segnali incoraggianti; per la prima volta in Italia nel 2013 la produzione di elettricità da fonti rinnovabili ha superato quella ottenuta dal gas».
Sul lungo termine, invece, le cose potrebbero cambiare a vantaggio dell’Europa. Radicalmente. «Tutto ciò - spiega Cutler - non accadrà subito, ma in 10, forse anche 7 anni. La politica energetica europea, stando alle decisioni prese, va in questa direzione: alleggerire la dipendenza da Mosca».
Al di là dell’efficienza energetica, la maggior minaccia per la Russia arriva dall’Lng. Nell’arco di 10 anni entreranno in produzione diversi giacimenti. Nel 2019 dovrebbe entrare in funzione il Tap, il gasdotto che collega i giacimenti azeri del Mar Caspio alla Puglia. Il volume previsto è solo di 10 miliardi di m3 l’anno per il mercato europeo (il 2% del fabbisogno della Ue). Ma non passerà molto tempo prima che anche i giacimenti del Mediterraneo orientale potranno venire in soccorso dell’Europa; da Cipro, dove si sta pianificando di costruire un impianto di liquefazione, a Israele, che potrebbe allacciarsi a Cipro ed esportare il suo gas. Gli azeri hanno poi precisato di essere disponibili ad aumentare i flussi verso l’Europa, quando saranno avviati altri giacimenti del Caspio, sempre che lo richieda. Da Qatar, Australia e Canada sono previsti ingenti volumi addizionali di Lng. Sul lungo termine anche dal Mozambico, dove l’Eni ha scoperto un grandissimo giacimento. «In 10 anni la tecnologia per costruire un mercato mondiale dell’Lng sarà progredita e si potrà realizzare un sistema integrato», continua Cutler. Il tutto a sfavore della Russia. L’arma che si ritorcerà contro il Cremlino sarà proprio quella a lungo utilizzata per legare l’Europa: i controversi contratti take or pay, accordi di lungo termine - 10-15-20 anni - in cui sostanzialmente l’acquirente si impegna a comprare un certo volume di gas, a un certo prezzo, a prescindere se lo ritiri o meno. Il tutto a un prezzo molto elevato, perché in questi accordi il prezzo del gas è agganciato a quello del greggio. «In 10-15 anni - precisa Cutler - questi contratti si estingueranno. Allora la Russia sarà in difficoltà: o abbasserà molto i prezzi o rischierà di non vederli più rinnovati».
Consapevole che il suo "energy leverage" sarà ridimensionato, con un deciso calo delle entrate, Mosca ha compreso che se vuole realizzare le sue ambizioni deve farlo presto. Nel mentre guarda a Oriente, verso la Cina. Ma questa è un’altra storia.