Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 4/4/2014, 4 aprile 2014
«ITALIA E BORSA, OPPORTUNITÀ PER BLACKROCK»
[Andrea Viganò]
La «tana del lupo» è in via Brera 5, a Milano: ingresso al piano terra, stanze piccole e arredi poco appariscenti, due piani in tutto - di cui uno seminterrato - uffici e open space che ospitano in tutto 40 persone tra dirigenti, trader e consulenti.
Se pensiamo allo sfarzo che contraddistingue le sedi delle banche italiane ed europee, soprattutto quelle di investimento, il quartier generale italiano di BlackRock è la migliore rappresentazione dell’abisso che separa ormai vecchi e nuovi protagonisti del mondo della finanza: la sostanza contro l’immagine. Ecco BlackRock, l’asset manager americano - oggi il più grande del mondo - che con i suoi blitz su azioni e titoli di Stato è in grado di condizionare la percezione degli investitori su un titolo, una Borsa, un intero mercato nazionale. Quando si ha una potenza di fuoco alimentata da 4.300 miliardi di dollari di attività in gestione - quasi 10 volte la capitalizzazione totale di Borsa Italiana, poco meno dell’intero valore del Nasdaq - anche un’irrilevante rotazione di portafoglio o riallocazione di risorse tra mercati può fortemente condizionare capitalizzazioni, valutazioni e percezioni collettive.
Lo sa bene Piazza Affari, che dopo la fuga di capitali del 2011 si trova ormai da alcuni mesi sotto assedio da parte dei grandi fondi americani, dei fondi sovrani e degli hedge fund, con BlackRock in testa: da inizio anno a ieri, la Borsa di Milano ha messo in cassa oltre 76 miliardi di euro di valore aggiuntivo, portando a ben 186 miliardi di euro l’aumento di capitalizzazione rispetto a un anno fa. È la migliore performance tra le Borse europee e in generale tra quelle mondiali, ed è soprattutto il mercato in cui sono affluiti più capitali esteri in assoluto. I nomi dietro alle cifre sono tanti e spesso insignificanti, ma non quello di BlackRock: in Italia ogni suo acquisto fa notizia, genera entusiasmo ma anche paura, atteggiamento tipico dei mercati poco sviluppati e tendenzialmente diffidenti nei confronti di tutto ciò che non capiscono. «È proprio qui il problema - spiega Andrea Viganò, country head in Italia del fondo americano - In Italia, per tante ragioni, c’è scarsa conoscenza di chi opera sui mercati, delle differenze sostanziali tra gli investitori di lungo termine come noi e gli speculatori a breve come gli hedge fund, tra gestori passivi e investitori attivisti».
Viganò, nei limiti del consentito dal quartier generale di New York, ci rivela che dal 2000 a oggi le attività in gestione in Italia sono passate da zero a 58 miliardi di euro, che l’anno scorso la raccolta investita in prodotti finanziari e previdenziali è salita di oltre 8 miliardi e che quest’anno si dovrebbe fare anche di più. Quanto di queste cifre raccolte resti in Italia non è dato a sapersi, come segreto è il numero e l’identità dei clienti: «Il grosso degli investimenti effettuati sulla Borsa Italiana - spiega Viganò, da 14 anni country manager di BlackRock Italia - viene dall’estero: l’Italia, il suo mercato, le aziende medie e grandi dell’energia, delle telecomunicazioni, del credito o del settore manifatturiero sono estremamente attraenti non solo in termini di valutazioni, ma anche per fattori speriamo più strutturali, come le riforme e le privatizzazioni. Noi siamo il consulente, il collettore e il gestore di questa domanda: il nostro obiettivo è far guadagnare i clienti investendo solo in un’ottica di lungo periodo, senza condizionare i manager, influenzare l’azionariato o orientare le scelte delle aziende. Non siamo raider, speculatori o partner di questa o quella cordata, come purtroppo alcuni ci hanno dipinto. Non abbiamo trading proprietario, non abbiamo conflitti di interesse e neppure un unico centro decisionale o regia centralizzata sugli investimenti: ogni fondo decide autonomamente, esegue le richieste dei clienti, e vota nelle assemblee in piena indipendenza e sulla base delle raccomandazioni di voto delle società di proxi. Mai abbiamo chiesto o chiederemo di avere un nostro rappresentante nel consiglio di una società quotata».
Una bella storia davvero. Ma qui siamo in Italia: anche la Consob ha acceso un faro su i vostri frequenti acquisti di titoli Telecom Italia. Poi sono spuntati nomi come Intesa, Monte dei Paschi, Eni, Enel, Banco Popolare (il fondo è arrivato ieri al 6,85% di Bpi) e via dicendo: alla vigilia delle assemblee, c’è chi teme un possibile condizionamento.
I timori sono ingiustificati, ma se esistono è forse anche per colpa nostra: avremmo dovuto presentarci di più e meglio agli italiani. Qui c’è meno abitudine e conoscenza di altri Paesi alle operazioni e alle tecniche dei grandi fondi. Solo qui salire oltre il 2% in un’azienda diventa notizia su cui ricamare: all’estero non succede. Gli italiani, le istituzioni, le authority e le imprese dovrebbero essere invece contenti del nostro ruolo di grande investitore indipendente: BlackRock è ormai considerato un benchmark per gli investitori internazionali, al punto che spesso il mercato ci segue sui mercati e sui titoli in cui investiamo. E oggi l’Italia, per Blackrock, è una grande opportunità di investimento.
Molti in Italia temono che dietro a BlackRock ci siano speculatori, come in genere si pensa di Wall Street...
Ma è falso. Il 50% dei nostri clienti mondiali è fatto di istituzioni finanziarie, banche e assicurazioni, e l’altro 50% di famiglie e risparmiatori che hanno magari a disposizione anche solo 10mila euro da investire. In Italia la quota non cambia: le posso dire che i clienti-famiglia di BlackRock sono ormai di decine di milioni tra Palermo e Bolzano. Sono forse questi i fantomatici raider di cui si parla? Le dirò di più: poichè le nostre analisi evidenziano che il 55% degli italiani non investe in Borsa, il potenziale di crescita è enorme. A New York come a Tokyo, Londra, Pechino o Nuova Delhi, c’è evidentemente molta più fiducia sull’Italia di quanta ne abbiamo noi italiani.
Quando si hanno 4.300 miliardi di dollari di asset in gestione ogni scossone rischia di provocare terremoti. Come risponde a chi vi guarda con diffidenza?
Rispondo che più di due terzi dei nostri portafogli sono a gestione passiva, quindi non condizionabile. Le ripeto: mai azioni concertate, tra noi o con altri investitori, mai un ruolo in un consiglio di amministrazione.
E sulle gestioni attive?
Il nostro unico obiettivo è quello di battere il benchmark di riferimento: altri fini non esistono e le pareti cinesi tra i nostri fondi sono fortissime. Pensi che neppure io vengo informato sugli acquisti o le vendite di un fondo o di un gestore: nessuno è condizionato, tutto è riservato. A Wall Street come a Piazza Affari o nella City.
Quando investite su un settore o su un’azienda, su che cosa basate le scelte?
Fattori tecnici, prospettive di redditività, valutazioni dei titoli, governance delle aziende, affidabilità e liquidità dei mercati. Siamo consulenti dei clienti, operatori di mercato e veicolo di crescita per le piazze finanziarie e per le stesse aziende in cui investiamo. Non siamo attivisti e non vogliamo condizionare i board.
C’è un caso che vi riguarda e tiene banco: Telecom Italia. Come vi comporterete in assemblea, quale lista voterete, visto che avete oltre il 9% del capitale frammentato tra più fondi?
Per noi è business as usual, ordinaria amministrazione: ogni fondo BlackRock voterà come crede o come indicato dalla società di proxi di riferimento, come del resto avviene sempre e nel caso Telecom è già avvenuto nella precedente assemblea. Le dietrologie su azioni di concerto con questo o quel socio, di cui la Consob si è poi fatta interprete, sono del tutto prive di fondamento. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. Abbiamo totale rispetto per le autorità di vigilanza, ma siamo pronti a difendere reputazione e correttezza in qualunque sede.
Telecom a parte, vi siete posizionati su Mediobanca, Intesa, Unicredit, Mps, Generali e ieri siete saliti anche in Bpi... Che cosa c’è dietro?
I clienti, ovviamente. In Italia e all’estero cresce la percezione che i problemi delle banche siano in via di superamento. E le recenti scelte di bilancio e trasparenza fatte dai big come Unicredit e Intesa hanno dato una spinta in più: le svalutazioni per decine di miliardi di euro hanno evidenziato coraggio e serietà. Come speriamo faccia l’Italia. Ma spero anche di più: che si smetta di considerarci come il lupo di Wall Street...