Mattia Eccheli, Il Fatto Quotidiano 4/4/2014, 4 aprile 2014
IL LUNA PARK DELLA GUERRA
Ganghwa (frontiera Corea del Sud)
Arrivano col treno, in auto ma soprattutto in pullman. Sono i “guardoni del conflitto”, la nuova frontiera del turismo della Corea del Sud. Un’attività fiorente alimentata dalle saltuarie provocazioni del dittatore bambino della Corea del Nord, Kim Jong-un, che è tornato a minacciare un nuovo esperimento nucleare. Gli echi degli spari oceanici dei giorni in scorsi non hanno frenato l’afflusso dei turisti. Né, del resto, le autorità del paese sembrano aver deciso di limitare i movimenti.
Lungo il sonnacchioso fiume Han, che traccia in parte il confine tra i due stati, si intravvedono chilometri di filo spinato. E guardiole almeno apparentemente non sempre presidiate. “Credo che il governo non voglia che abbiamo paura”, sorride la giovane Minjun. Una delle molte persone che vive grazie all’indotto della guerra: una calamita più che una calamità.
LA COREA DEL SUD, che ha nobilmente incassato perdite gravi negli ultimi anni (nel 2010 46 uomini a bordo di una nave della Marina militare rimasti uccisi in mare nel corso di un attacco ed altri 4 erano stati ammazzati a cannonate sull’arcipelago di Yeonpyeong) quasi senza reagire, ha trasformato il potenziale conflitto in una risorsa.
Ci sono itinerari quotidiani sui luoghi della memoria, consacrati al consumismo turistico di massa. Tanto da far diventare l’esplorazione visiva in una sorta di “North Korean watching”, grazie ad appositi telescopi, naturalmente a pagamento, piazzati in posizioni strategiche. Specifici filmati, come al Ganghwa Peace Observation Deck inaugurato nel 2008, precisano con l’ausilio di indicatori le attività svolte dagli uomini al di là del fiume: coltivano, pescano, vanno a scuola e via dicendo. Dal Peace Osbervatory – che si raggiunge oltrepassando il presidiatissimo check-point sul ponte dell’Unificazione – si gode la vista migliore sul paesaggio della Corea del Nord. Per una sorta di capitalistica indulgenza , un soldato ripete (anche in inglese) che è vietato fotografare oltre la linea gialla. Che si trova ad alcuni metri di distanza dal parapetto panoramico. La sorveglianza è blanda, ma la curiosità è enorme. Come al museo o allo zoo, sopra le teste dei curiosi c’è una cartina che illustra cosa si vede dall’altra: la torre delle telecomunicazioni, il pennone della bandiera, la cima. Come lungo le escursioni marittime alla ricerca dei delfini, l’eccitazione sale quando qualcosa si muove nella radura.
Poco sotto si trova il museo dedicato al leggendario “terzo tunnel”, un cunicolo scavato dai nordcoreani che i sudcoreani hanno scoperto il 17 ottobre del 1978. In totale ne hanno individuati quattro, ma la ben recitata propaganda ripete che si teme l’esistenza di un’altra ventina di gallerie. Il terzo – visitabile dopo una passeggiata di 500 metri fino a 73 di profondità – è il più temuto perché sbocca a soli 52 chilometri da Seul. Con il suo miglio di lunghezza ma soprattutto la sua larghezza di 2 metri (altrettanti in altezza) avrebbe consentito il passaggio di 30.000 uomini armati l’ora. Un incubo.
TUTTO SI TROVA all’interno della cosiddetta “zona demilitarizzata”, una fascia protetta di due chilometri per parte. Una zona cuscinetto sulla quali i due stati nemici si sono accordati. Niente, dopo i cannoneggiamenti dei giorni scorsi, sembra aver intaccato la ripetitività delle operazioni. A Dorasan si trova l’ultima fermata di un treno che, secondo i cartelli indicatori, dovrebbe arrivare fino a Pyongyang, la lontana capitale della Corea del Nord. Ogni cosa è pronta, perfino il settore dei controlli, come in un qualsiasi aeroporto, solo che non ci sono treni: “Prima o poi uno partirà. Ogni giorno. Per andare e tornare”, spiega l’uomo del banco informazioni. Lo dice come un mantra, esattamente come ogni filmato e documento ricorda che la Corea del Sud sogna l’unificazione. A che condizioni non viene spiegato.
Mette i brividi il nome del ponte del Non Ritorno, per arrivare al quale i controlli sono ancora più scrupolosi. Anche perché il confine con la Corea del Nord è visibile e si presenta con le divise dei soldati di Pyongyang. È l’avamposto dello smembramento di migliaia di famiglie che fino a 60 anni fa vivevano assieme. È il monumento alla disumanità della civilizzazione che, paradossalmente, si chiama Joint Security Area, area della sicurezza congiunta.