Paola Vuolo, Il Messaggero 4/4/2014, 4 aprile 2014
MUORE SIGNORACCI, RE DELLE AUTOPSIE
IL PERSONAGGIO
Il cuore malandato lo ha tradito per sempre, Cesare Signoracci è morto ieri nell’ospedale Sant’Eugenio, aveva 75 anni. Mezzo secolo di storia «nera» di Roma e dell’Italia è passata dalle sue mani, era figlio di Arnaldo e pronipote di Giovanni, il capostipite della leggendaria dinastia dei «tecnici preparatori» dell’obitorio romano della Sapienza. Quattro giorni fa Cesare era stato operato al cuore per la terza volta, il primario del Sant’Eugenio ha disposto l’autopsia, ma la moglie, Rossana, non vuole: «Perché è inutile, sembra ridicolo farla proprio a lui che in 45 anni ne ha preso parte a migliaia», spiega il cugino Massimo, anche lui tecnico di anatomia patologica al Verano, ed ultimo discendente della famiglia che ancora continua a preparare e ricomporre corpi da restituire al dolore dei parenti.
Capelli ricci e voce roca, Cesare Signoracci era un bravo musicista, suonava la chitarra e la fisarmonica e da dieci anni, da quando era andato in pensione, almeno una volta alla settimana si incontrava con il cugino e improvvisavano piccoli concerti. «Mi mancherà moltissimo - dice Massimo - prima dell’intervento Cesare voleva parlare con il nuovo direttore dell’Istituto di medicina legale, Natale Mario Di Luca, per dirgli di fare qualcosa per l’obitorio, ormai gestito dall’Ama e che dopo di me rischia la chiusura. Mio cugino c’era rimasto attaccato. Amava il suo lavoro in una maniera incredibile».
IL RICORDO
E il giorno della sua morte diventa quello dei ricordi. Il cadavere di Aldo Moro sul tavolo settorio, al culmine degli anni di piombo, quando si raccoglievano i morti per strada e a Cesare Signoracci veniva da piangere davanti alle spoglie del giudice Occorsio, che era anche un amico. Diceva Signoracci che quando era sceso in fondo al cunicolo maledetto di Vermicino per recuperare il corpo di Alfredino Rampi non riusciva a smettere di piangere, che i morti bambini hanno avuto ricevuto tutti un’ultima carezza e lui era sicuro che la sentivano. «Perché» diceva «non si può fare questo lavoro senza pietà e senza dolcezza». Cesare aveva imparato da ragazzino come si fa a restituire un volto che sembra intatto all’ultimo sguardo della famiglia. Con un tocco di luce fece splendere di nuovo, per un momento, i capelli biondi di Luciano Re Cecconi, scambiato per rapinatore e assassinato da un orefice. E non è stata solo la formalina a consegnare all’eternità tre Papi, Giovanni XXII, Paolo VI, e Giovanni Paolo I, imbalsamati dai Signoracci, come Antonio Segni, ex presidente della Repubblica e Alberto Sordi. Quarantacinque anni passati a guardare nello specchio scuro della città dei delitti, a Cesare dispiaceva ricordare la morte di Pasolini e «quel corpo irriconoscibile», Anna Fallarino, la marchesa Casati «così bella anche da morta». Poi il giallo di Marta Russo e la tragedia di Nassiryia, ma anche le morti di tanti ragazzi ammazzati dalla droga o in incidenti stradali. Cesare diceva che la morte non gli faceva paura: «Quando arriva lei, noi non ci siamo più, e dopo, secondo me, non c’è nulla». Domani mattina, alle 10, nella chiesa San Pio di Malafede, in via Paola Stoppa, l’ultimo saluto.