Paolo Nori, Libero 4/4/2014, 4 aprile 2014
COME LA CODA DEL MAIALE
Al lunedì, di solito, quando vado a prendere mia figlia, che chiameremo, convenzionalmente, la Battaglia (l’altro giorno, sia detto per inciso, ho scoperto qual è il suo dolce preferito, le fragole con panna senza fragole), al lunedì, quando alle quattro e un quarto arrivo a scuola, un quarto d’ora prima dell’uscita dei bambini, ci son sempre due o tre genitori di bambini che fanno le elementari con la Battaglia che parlano delle partite del campionato di calcio del giorno prima e io mi metto lì ad ascoltare e quasi sempre mi stupisco della cura e dell’attenzione con le quali questi genitori hanno seguito la giornata di campionato, della profondità dell’analisi, sia tecnica che tattica che strategica che psicologica e dei futuri sviluppi che lì, nel cortile della scuola, sembrano certi, inevitabili, cosa dovuta, credo, al tono quasi scientifico di queste conversazioni del lunedì che mi fanno pensare al fatto che, quel giorno, all’uscita di tutte le scuole di tutt’Italia, sta succedendo una cosa del genere e che se una parte anche minima di questa intelligenza e di questa capacità di analisi fosse dirottata, non so, sullo studio della lingua etrusca, probabilmente nel periodo di tempo corrispondente a un girone di ritorno avremmo la risposta a molti misteri che, credo, da secoli tormentano i linguisti di mezzo mondo. Poi arrivano le quattro e mezza, i bambini escono, e tra loro la Battaglia che è così contenta, di solito, di uscire da scuola, che delle volte mi torna in mente una sera che si era messa a parlare di felicità e io, che non ho molta dimestichezza, con la parola felicità, perché in dialetto non esiste (in dialetto parmigiano non si è felici, si è contenti), e tutte le volte che penso alla felicità mi viene in mente Gianni Celati che una volta deve aver scritto che la felicità è un concetto americano, io, dicevo, quella sera che ho sentito la Battaglia che parlava di felicità le ho chiesto cosa voleva dire, felicità, e lei ci ha pensato un po’ e poi mi ha risposto: «Io sarò felice l’ultimo secondo dell’ultimo minuto dell’ultimo giorno dell’ultimo mese dell’ultimo anno di scuola».