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 2014  aprile 04 Venerdì calendario

IL BARITONO LEO NUCCI FESTEGGIATO A VIENNA «IL PIÙ BELLO? QUELLO CHE CANTERÒ IN FUTURO»


DAL NOSTRO INVIATO VIENNA — «Il mio più bel Rigoletto ? Quello che canterò in futuro». Il grande baritono Leo Nucci, 72 anni tra pochi giorni, è con Placido Domingo il simbolo della vecchia guardia che non molla mai. Dice: «Ho nostalgia del domani». Ha il gusto della battuta, si è fatto da solo, il padre era maniscalco e minatore. Lui stesso a 15 anni dovette lavorare per una impresa di pullman, «la domenica facevo il bigliettaio». Venire dalla povertà significa aiutare le nuove voci di Piacenza, fare beneficenza, abbassarsi il cachet del 20 per cento: «Non è giustificato, con questa crisi, dare tutti questi soldi ai direttori d’orchestra».
Ha alle spalle 72 ruoli, fu il primo a cantare in Italia l’Onegin in russo, 3000 recite di cui 188 alla Scala e 300 a Vienna: la città che stasera, alla Staatsoper, festeggia le sue 500 recite del Rigoletto . «Ad Amburgo nel 1985 — racconta seduto al ristorante — il regista voleva che fossi un clown sul Reno e non il buffone di corte. Verdi non può diventare un circo». E se ne andò? «No, la direzione decise di mandare via lui. Un’altra volta a Londra riuscii a far togliere tante cose di cattivo gusto, ma purtroppo rimase la sodomia in scena. La regia all’opera la fa il compositore, non il regista, è la musica a impostare le parole. La vera modernità del Rigoletto , con cui debuttai nel 1973 a Legnago — mia moglie Adriana, incinta di sei mesi, cantava con me —, è nel capire la violenza dell’uomo sulla donna». Nel loro giardino a Lodi chiamano i fiori con i nomi degli artisti: «L’altro giorno è morta Maria Callas, una rosa».
Ha scritto un libretto intitolato Il mondo dell’opera sui vizi, le vanità e i luoghi comuni del suo ambiente: «Lo spettacolo andò in scena in Svizzera facendo morir dal ridere, la musica è piena di citazioni, l’acqua calda è stata già inventata, non c’è nulla di nuovo».
Adora due film, Stregata dalla luna e Pretty Woman , «perché dimostrano come, anche non conoscendo la lingua, all’opera puoi commuoverti. Cosa che non accade nella prosa». È vero che Gigi Proietti le propose di debuttare come attore? «Sì, dopo un Nabucco , opera che interpretai per la prima volta a 51 anni, mi disse: Ma ’ndo sei stato finora? Io mi ritengo un attore che canta». A quel tempo aveva scavallato da tempo la crisi del 1970: «Dopo una storica Carmen a Roma con Grace Bumbry e le scene di Guttuso, decisi di smettere, c’era troppa concorrenza in giro, cercai di trasferirmi invano in Australia, mi ritrovai a cantare al ristorante Meo Patacca a Roma, un giorno entrò Raimondi e mi disse: “Ma che ci fai qui”? Non mi sono mai tirato indietro. Poi venne un concorso per entrare nel coro della Scala ed è cambiata la mia vita, Milano è stata la mia fortuna».
Ha cantato con i tre tenori. Carreras: «Mi chiamava la bestia per come ho conservato la voce»; Domingo: «Un grande amico, a Vienna sono a casa sua. Quando abbiamo cominciato diceva che io ero più giovane, a un certo punto siamo diventati coetanei, ora dice che è più giovane lui»; Pavarotti: «Era un compagnone, mi chiamava Ciccio, mi sfidava a preparare il vitel tonné». Che cosa invidia ai tenori? «Il fatto che — non so perché — hanno tutti i capelli in testa». Per restare a tavola, un giorno il grande direttore Georg Solti gli disse: «Con questa voce può scoppiare una guerra ma mangerai sempre».
Abbado? «In Giappone con la Scala intuì che volevamo fare uno scherzo all’ultima recita. Mi disse: accetto se ne fai due. E nel terzetto del Barbiere cambiai le parole così: zitti zitti piano piano non facciamo confusione per la Scala di Milano presto andiamo via di qua». Leo Nucci sta dalla parte dello spettacolo, dà i bis («una volta pure un tris») e ai puristi che storcono la bocca ricorda che «Verdi quando diresse la Messa da Requiem a San Marco ne diede tre». Quanto ai loggionisti così temuti, «da 37 anni canto alla Scala e mi è sempre andata bene, esistono, li rispetto, non amano gli artisti padreterni che si pongono al di sopra di tutti, in quel teatro devi dare l’anima». Il pubblico delle prime? «Al 65 per cento non ha alcun interesse a ciò che accade sul palco. Alla prima della Traviata una signora ha esclamato: “Mi aspettavo il Va’ pensiero ”».
Le dispiace di festeggiare i 500 Rigoletti a Vienna e non in Italia? «L’ho scelto io, questa è la città della musica, qua fuori per strada ci sono le stelle con i nostri nomi, come a Hollywood con gli attori». Nucci sta andando a cantare in Cina, ha impegni fino al 2017. Ha mai pensato al giorno del ritiro? «Lo farò quando mia moglie e mia figlia mi diranno che sono patetico».