Sergio Romano, Corriere della Sera 4/4/2014, 4 aprile 2014
IL SOGNO DEL RITORNO ALLA LIRA L’ALIBI DI CHI NON VUOLE CAPIRE
Non riesco a capire come un numero sempre crescente di uomini politici italiani possano pensare seriamente (e dichiarare pubblicamente) che, per uscire dalla crisi, convenga abbandonare l’euro. Dimenticando che i 2.089 miliardi del nostro pesantissimo debito pubblico sono in euro. Hanno valutato, queste persone sicuramente non stupide, il livello stratosferico che raggiungerà lo stesso debito pubblico dopo la conversione in nuove lire? Hanno tenuto conto del fatto che rimborsi di titoli in scadenza e interessi dovranno comunque continuare a essere calcolati in euro? E che il Tesoro, per riuscire dopo l’abbandono a piazzare i Btp, sarà costretto a offrire interessi altissimi? Sembra proprio che la storia dell’ultimo secolo non sia riuscita ad insegnarci che niente è più pericoloso dell’irresponsabilità individuale accoppiata all’incoscienza collettiva.
Carlo Knight
Caro Knight,
A lle sue considerazioni aggiungo che Confindustria ha recentemente calcolato gli effetti del ritorno
alla lira sul prodotto interno lordo dell’Italia. Secondo il suo presidente, Giorgio Squinzi, «se tornassimo alla lira, in due, tre anni perderemmo il 25-30% del Pil». Aggiungo che la nostalgia della lira non è soltanto fondata su grossolani errori economici. È anche il segno di una più grave e pericolosa ignoranza. Per risanare i conti dell’Italia e mettere il Paese nella condizione di crescere, non basta ridurre la spesa pubblica e fare alcune delle riforme che l’Unione Europea e il Fondo monetario internazionale ci chiedono da molti anni. Occorre comprendere perché alcuni Paesi (non soltanto la Germania) abbiano approfittato dell’euro per migliorare le loro condizioni e altri, fra cui l’Italia, non siano riusciti a fare altrettanto.
In un recente articolo (Financial Times del 26 marzo) Otmar Issing, ex capoeconomista della Banca centrare europea, ha ricordato che l’introduzione della moneta unica ha avuto per effetto, in Italia, la diminuzione dei nostri tassi d’interesse al livello tedesco e un risparmio di alcune decine di miliardi di euro. Carlo Azeglio Ciampi, ministro del Tesoro nel governo di Romano Prodi, ne era consapevole e sostenne che l’Italia, in queste nuove e più favorevoli condizioni, avrebbe dovuto proporsi, come obiettivo prioritario, la graduale diminuzione del suo enorme debito pubblico.
Per raggiungere questo scopo, tuttavia, occorreva che il bilancio dello Stato registrasse ogni anno un avanzo primario, vale a dire un totale delle entrate superiore al totale delle spese. Se avessimo mantenuto quell’impegno, l’Italia d’oggi non dovrebbe rifinanziare il suo debito pubblico con una somma annuale pari a circa 80 miliardi di euro e potrebbe disporre di denaro utile per favorire la ripresa. Se questo non è accaduto, se per molti anni lo Stato ha continuato a spendere più di quanto incassasse, la colpa, caro Knight, non è della Germania. È interamente nostra. Chi sogna il ritorno alla lira, evidentemente, non lo vuole capire. Ed è questo che mi sembra particolarmente preoccupante.