Sebastiano Vassalli, Corriere della Sera 4/4/2014, 4 aprile 2014
L’ALBATRO DI CHIVASSO
Viviamo un’epoca di grandi trasformazioni e di grandi migrazioni, non solo umane. Gli uccelli marini hanno cominciato, già da parecchio tempo, a trasferirsi sulla terraferma, con buona pace dei poeti che non possono più servirsene per immaginare i grandi spazi della natura e i grandi voli del pensiero. Non so che fine abbia fatto una rivista letteraria spagnola del secolo scorso che si intitolava «Cormoràn y delfin», so la fine che hanno fatto i cormorani, diventati l’incubo delle associazioni di pescatori nelle valli alpine dove fanno strage di trote. Per non parlare dei gabbiani. Quelli bianchi e neri, i ridibundi, arrivano a migliaia sui campi appena arati nella valle del Po; gli altri più grandi, i gabbiani reali, si sono insediati stabilmente nelle nostre cit¬tà e nelle nostre discariche. Da predatori di pesci si sono tra¬sformati in predatori di animali a sangue caldo: recentemente ha fatto notizia la colomba bianca del Papa, afferrata in volo da un gabbiano e uccisa con un colpo di becco alla nuca. In un’intervista comparsa sulla rivista «Airone» nel marzo del 1987, il gabbiano di Chivasso, un esemplare di quella specie, confessava candidamente all’intervistatore Primo Levi di apprezzare come cibo le pantegane. Il giorno che a Chivasso verrà segnalato un alba¬tro (quello di Baudelaire) potremo dire, mestamente, che «non c’è più poesia».