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 2014  aprile 04 Venerdì calendario

ALAIN DUCASSE


«Le piace il cioccolato fondente?». Mentre lo chiede, Alain Ducasse non ti guarda ma continua a fissare il taccuino nero sul quale prende appunti. «Sì? Allora ora deve andare subito al mio Chou d’Enfer, sotto la Torre Eiffel. Lì nei bignè al fondente mettiamo anche il burro salato. Sono unici». Inutile dirgli che a Parigi il traffico è bloccato. Che dal Plaza Athénée, dove stiamo facendo l’intervista e dove ha sede il suo ristorante più famoso, non ce la farò mai in 15 minuti (il tempo che mi ha dato prima di rivederci per conoscere il capocuoco Christophe Michalak). È un ordine: «Vada. Non si deve mai rinunciare a un’esperienza. Potrebbe non ripresentarsi l’occasione».
Lo chef con 21 stelle e più famoso di Francia è un moto perpetuo. Fermarsi è un verbo che non conosce. Più che un cuoco, a dire il vero, sembra una holding. Anche perché oramai ha smesso di cucinare e gira il mondo ininterrottamente per dirigere una multinazionale della gola che fattura, secondo Challenges, 120 milioni di euro. Circa 1.400 dipendenti e trenta fra ristoranti, alberghi e bistrot. L’ultimo nato, appunto, è questo chioschetto parigino dove si assaggiano bignè, nel 15°arrondissement, le cui linee sono state tracciate dalla matita di Patrick Jouin, designer di Alessi. Un esempio di «Sweet food» che trasforma il bignè in cibo da strada. Tranne che per il costo: 9 euro l’uno. La sua ultima impresa, invece, è stato il pranzo organizzato a Versailles di gran fretta per la visita del premier cinese Xi Jinping e sua moglie Peng Liyuan: 18 portate servite in 140 minuti.
La gallina
Lo sa che la chiamano «Alain Ducasse l’extraterrestre»? C’è chi si chiede se lei sia un cuoco con un gran fiuto per gli affari, o invece un finanziere che sa anche cucinare. Alza gli occhi (e, finalmente, sorride): «Sono uno che se fosse stato per mia madre non avrebbe mai fatto questo lavoro. Che invece ho amato sin da quando aiutavo mia nonna, a 12 anni, nella cucina della fattoria: la gallina in brodo, i funghi appena raccolti, i pesci di fiume... Certo, è un mestiere difficile. In cucina fa caldo, si lavora quando gli altri sono in vacanza, c’è un lungo apprendistato... E però, c’è il piacere di cucinare per gli altri. La vera difficoltà, lo dico sempre ai ragazzi che cominciano, è riuscire a dare ogni giorno qualcosa di personale. Solo così si dura 26 anni...». Il suo segreto? «Evolversi. Mai prendere l’abitudine. La mia ossessione è trasmettere. Io dò la visione. I miei collaboratori, creano. Trasmettere significa potermi non fermare e fare altre cose. Sa, io sono un uomo molto fortunato». Spezza e assaggia uno dei croissant appoggiati al centro del tavolo.
La fortuna
Ducasse sa di cosa parla. Circa 28 anni fa è stato l’unico sopravvissuto in un incidente all’aereo da turismo sul quale viaggiava, che si schiantò contro una montagna. Ci vollero una quindicina di operazioni per rimettersi in sesto. «Non potevo camminare, non ci vedevo più, non potevo più lavorare — ha raccontato a Time —. Non contavo più niente per la società perché non avevo niente da offrire». Quando si rimise in piedi tornò al lavoro nel ristorante Louis XV di Montecarlo, promettendo che in quattro anni gli avrebbe fatto conquistare 3 stelle Michelin. Ci mise un anno di meno. «Sono riuscito a ricostruire la mia vita, e voglio dare a queste persone la possibilità di vivere, essere autosufficienti, ottenere qualcosa di tangibile». Mi dice convinto: «Non sono legato al passato. Non ho rimpianti. Mai. Anche per quello che non sono riuscito a fare. L’unico è che le giornate non durino 48 ore. Preferisco non dormire piuttosto che rinunciare a vedere una mostra, assaggiare un nuovo piatto, parlare con qualcuno. Da tempo ho deciso di non essere più stanco».
La «molecolare»
Lei è stato ospite a Masterchef Italia e Usa. Accetterebbe mai di condurne uno? «In tv non mi vedrà mai. Non è il mio mestiere. Il risvolto positivo di questa mediaticizzazione è che si pubblicizza l’industria del cibo. Ma al momento non c’è visione. Forse verrà...». Se chiude gli occhi, monsieur Ducasse dice di sognare «i piatti della nonna. La molecolare? Non so cosa sia. Nei miei ristoranti non cucino più, è vero. Anche se da me si mangia molto meglio che in locali dove lo chef c’è ancora. Ma cucino ancora a casa, o per gli amici. Vado al mercato o in giardino e scelgo quel che c’è. È la lezione di Paul Bocuse: la cucina è quel che ho. Lo spiego anche nel mio libro appena uscito da voi in Italia, Ducasse Nature (Ippocampo): cucinare naturalmente può emozionare». Alta cucina uguale prezzi alti? In questo ristorante, il Plaza Athénéé, il suo menu costa 380 euro. Certo, le verdure in crosta di sale sono un piatto che ti ricordi per sempre... «Non è caro. Anzi, ha un eccellente rapporto qualità-prezzo. Lei andrebbe da Chanel a dire che un vestito costa troppo?». L’ultima cena che l’ha entusiasmata: «A Kyoto, da Morata. Quarta generazione di chef. Fa una cucina giapponese tradizionale ma alla base c’è una cultura antica. La cottura dei vegetali, ad esempio, è qualcosa di difficile da imitare».
L’amore
Dei nostri cuochi italiani, Ducasse dice di apprezzarne molti: «Carlo (Cracco) e Davide (Oldani) sono stati da me a lavorare! Ma anche Massimo Bottura. E Fulvio Pierangelini, uomo di grande sensibilità. L’ho conosciuto una volta quando siamo andati con Marchesi e Bocuse da lui al Gambero rosso , a San Vincenzo. Fulvio è un personaggio straordinario, ma forse gli italiani non se lo meritano visto che non l’hanno capito». Siamo al secondo caffè. Le chiacchiere vengono leggere seduti sui velluti del Plaza. È il momento di chiederglielo: «La rivista Glam Mag l’ha nominata chef più sexy del mondo. Lusingato?». Ora ride: «No, no, per carità. Parliamo di cucina. L’amore è una cosa privata....». Ma poi arriva Gwenaëlle, la donna che ha conosciuto 17 anni fa su un volo per New York. Lei parlerebbe eccome di suo marito: «Cosa ha detto di me? Cose buone? », scherza. Ducasse si illumina. Le si avvicina, le fa una carezza sulla testa. Poi scappa via: «Ecco, Gwen può dirle come sono in amore meglio di me... A tra poco». Lo bacia sulla guancia: «Peccato! Ho la piccola Dae (2 anni e mezzo, mentre l’altro figlio della coppia, Arzhel, ne ha 5) da andare a prendere a scuola. Ma sono sicura che Alain sarà stato bravissimo. Se è presente in famiglia? Certo, sempre. E non so come faccia. Ma si sa: al massimo non dorme».