Goffredo Buccini, Corriere della Sera 4/4/2014, 4 aprile 2014
QUEI 150 MILA VOTI E I TANTI VOLTI DEL POTERE DI NICK O’ MERICANO
DAL NOSTRO INVIATO NAPOLI — Giggino «a’ Purpetta» Cesaro, ex gemello siamese di Nick poi separato da velenosissimi dissapori, fa la solita parte al cellulare: «Sono un collaboratore, richiami tra un’ora», quindi sparisce, inafferrabile. Ma anche Susi Tartaglione, segretaria regionale del Pd, la prende cauta: «L’arresto di Cosentino? Mah, questioni che segue la magistratura, non credo siano oggetto di riflessione». Ammettiamolo: qui scarseggiano le prime pietre da scagliare, e pure le seconde.
Perché, sotto sotto, Nicola l’Impresentabile non lo ha mai disdegnato nessuno. E persino il partito di Renzi (che ha deciso di saltare Napoli nel tour per le Europee) ha votato l’altro ieri sera la propria candidata al comitato di controllo sulle telecomunicazioni, il Corecom, assieme a sei dei sette consiglieri regionali cosentiniani (i «sette samurai», li chiamano dalle parti del Centro direzionale, sede dell’assemblea campana): poche ore prima che, voilà, Cosentino fosse nuovamente arrestato dal Ros, stavolta assieme a due dei suoi fratelli, per un ennesimo intruglio casalese di camorra presunta, pressioni e minacce riferite, favori e vantaggi eventuali. Sicché, mentre i fedeli cosentiniani di Forza Campania insorgono («Nicola è un prigioniero politico!»), i democrat vesuviani dissimulano qualche rossore. Scelta di tempo tafazziana, eh? «E va bene, sono in imbarazzo!», ammette la neopresidente del comitato, Ilaria Perrelli, giornalista con reputazione a prova di inciucio e figlia di un’icona della sinistra come Ersilia Salvato. «Dimettermi? Ma perché? Non sarebbe giusto. Io sarei stata eletta anche senza i voti dei cosentiniani». Si fanno e si rifanno i conti, e mica è tanto vero: se solo Forza Campania votasse con Forza Italia, secondo natura. «Quelli invece hanno fatto un blitz, non c’era nessun accordo, volevano mostrare la rottura col governatore Caldoro», giura la Tartaglione. Vatti a fidare di questi adepti di Nick O’ Mericano che, quando meno te lo aspetti, ti appioppano perfidi un voto in mezzo alle scapole.
Molto è cambiato dal tempo in cui Cosentino formava con Cesaro e Mario Landolfi il terzetto vincente dei «cafoni ‘e fuori», il trio di provinciali capace di scalare Napoli e chiudere la stagione del bassolinismo. Eppure, piaccia o no, la verità, prima sussurrata, è ormai palese nelle sedi istituzionali campane. Il «prigioniero politico» — secondo la Procura antimafia referente delle cosche casalesi — non ha mai smesso di influenzare la vita della città e della regione, con un pacchetto (dicono i suoi) di 150 mila voti «personali» e un ipotetico 15 per cento alle Europee dove pare che Nick vagheggiasse di candidarsi (l’ultimo incontro con Berlusconi è della scorsa settimana). Di più. Nick ha improntato di sé la politica quaggiù: colpevole o innocente che sia, l’ha impregnata come le discariche abusive della sua terra; parafrasando Gaber, a Napoli il problema non è «Cosentino in sé ma Cosentino in me».
«Non ho fatto il militare, questa è una prova di formazione», ghignò stoico lui, al bar sotto casa, davanti alla Villa Reale di Caserta, alla vigilia del primo arresto, giusto un anno fa. Anche allora accanto aveva Enzo D’Anna, senatore di barricata, che raccontò di avergli selezionato i libri per la cella, addirittura Hannah Arendt ed Einaudi. D’Anna non molla. «È un martire», dice pure adesso. Martire dei soliti giudici comunisti o delle donne care a Berlusconi, vai a sapere. Le prime grane politiche gliele causò la salernitana Carfagna, e dall’impasse tra i due nacque l’ascesa di Stefano Caldoro alla Regione. Le più recenti («imbarazza il partito in Campania») sono omaggio della turbo-fidanzata Pascale cui il senatore cosentiniano suggerì, in un’intervista al Corriere del Mezzogiorno , di occuparsi di fagiolini piuttosto che di politica. Caldoro, vaso di coccio in simili risse, era ed è l’inevitabile riferimento di chi voleva voltare pagina. Ora che qualche nuvolone giudiziario s’addensa sul suo staff, D’Anna pronostica, neanche troppo sibillino: «Il problema non sarà Caldoro. Credo che alcuni soggetti politici avranno l’attenzione di questa magistratura». Il governatore è autorizzato a fare scongiuri.
I tormenti del cosentinismo diventano dunque raffigurazione di un partito che si sfalda, da Roma alla periferia. Degli amici d’un tempo, chi non ha mai mollato Nick è Denis Verdini, che faceva asse con Nitto Palma e a fine 2009 gli aveva pronosticato con ottimismo «è fatta», nella corsa alla candidatura per la Campania. Denis ha poi collocato la propria segretaria personale, la bella Luciana Scalzi, nella pattuglia dei sette samurai. E un verdiniano storico come Luca D’Alessandro tuona adesso contro la custodia cautelare. Ma nessuno può dire quanto Verdini orienti ancora questi giorni confusi. Dal coordinatore campano Domenico De Siano (dicono fortemente sostenuto dalla Pascale a Palazzo Grazioli) arriva «vicinanza all’amico Cosentino» ma anche (con un... veltronismo) «fiducia nella magistratura»: espressione che nel mondo antico dei berlusconiani duri e puri equivarrebbe a una bestemmia in chiesa. Da ieri i duri e puri si contano, si sbirciano, fanno proclami per darsi coraggio. Paola Raia, maglifici a Somma Vesuviana e scranno di capogruppo a Forza Campania, convoca tutti nella sede di Caserta mentre su Facebook partono inviti a «marciare fino al carcere». Amedeo Laboccetta, antico fascista pugnace, se la prende con la «magistratura militante»: lui deve l’approdo al vertice della Gori spa, multiservizi che gestisce l’acqua in una settantina di comuni campani, a un avvocato di Nick, Carlo Sarro, e, in fondo, al placet dei sindaci di quei Comuni, in parte Pd. Cosentino è in sé, in loro, in noi.