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 2014  aprile 04 Venerdì calendario

COME EVITARE IL CALO DEI PREZZI


Nell’area dell’euro c’è il rischio di una perniciosa deflazione. Ma non è ancora un rischio indiscutibile, al punto di dover ricorrere subito a nuovi provvedimenti straordinari di politica monetaria. La Bce attende nuova evidenza, prepara le armi per combatterlo ed è pronta a usarle nel prossimo futuro.
Ieri Draghi ha ammesso che l’ulteriore rallentamento dei prezzi rilevato in marzo, con alcuni Paesi che hanno inflazione negativa, ha sorpreso la banca centrale. Ma è possibile che la spiegazione sia in alcuni fattori destinati a invertirsi, come l’andamento dei costi dell’energia e dei prezzi dei servizi. Inoltre, secondo la Bce, l’inflazione attesa dai mercati nel medio periodo rimane ancorata all’obiettivo della Bce, poco sotto il 2% annuo.
Il Consiglio Direttivo ha dunque discusso a lungo e ha deciso di aspettare nuovi dati nei prossimi mesi. E’ stato però unanime nell’affermare che, se si confermasse la frenata dei prezzi, la Bce è pronta a creare ulteriore liquidità, ad abbassare ulteriormente i tassi di interesse, fino a considerare tassi negativi sui depositi presso la Bce, a organizzare prestiti straordinari alle banche e acquisti di titoli, anche privati. Il che è stato apprezzato dall’andamento delle borse (e dalla riduzione della differenza fra i tassi dei titoli di Stato italiani e tedeschi).

La vera deflazione arriva quando i mercati cominciano ad attendersi che nel medio periodo, fra i tre e i cinque anni, si diffonda nell’area una netta discesa degli indici dei prezzi. Allora chi compra e investe rinvia molto le sue spese, frenando ancor più i prezzi, in un circolo vizioso, contraendo la domanda, l’attività economica e l’occupazione. Attendersi prezzi durevolmente in discesa aumenta inoltre l’onere reale di chi è indebitato. Non siamo ancora a questo punto. Ma Draghi ha chiarito che più si allunga il periodo in cui nell’area dell’euro l’inflazione si approssima allo zero più diventa concreto il pericolo che le attese di medio termine trascinino l’economia nella vera deflazione. E’ anche pericoloso che il cambio dell’euro rimanga troppo a lungo troppo forte: la Bce farà attenzione a che questo, riducendo i costi delle importazioni, non accentui il ribasso dei prezzi.
D’altro canto, se la Bce decidesse di intervenire con eccezionali provvedimenti espansivi, rimane il problema della loro efficacia, che potrebbe rivelarsi limitata, per almeno due ragioni. La prima è che parte dell’andamento dei prezzi è determinato da fattori globali, irrimediabili da politiche europee. In proposito Draghi ha ricordato che il 70% della riduzione dell’inflazione negli ultimi due anni è attribuibile alla frenata mondiale dei costi delle materie prime e dell’energia. L’occasione è stata buona anche per rispondere a Christine Lagarde, che dirige il Fmi e che alla vigilia della riunione di ieri ha consigliato alla Bce di adottare subito politiche più espansive: è stata ironicamente ringraziata per la generosità con cui dispensa i suoi suggerimenti ed è stata sfidata a permettersi analoghe interferenze il giorno prima delle riunioni della Fed americana.
La seconda difficoltà nel combattere la deflazione europea con la politica monetaria è che, a differenza degli Usa, nell’eurozona le banche sono protagoniste assolute del mercato del credito, mentre oltre Atlantico le imprese ricorrono molto di più al finanziamento diretto in titoli. Comprando quei titoli la Fed può diffondere più facilmente la liquidità in tutta l’economia. La Bce deve invece passare dalle banche, dove la liquidità può fermarsi, per varie ragioni, compresa l’imperfetta salute dei bilanci bancari e la loro conseguente ritrosia a prestare. Per tentare di superare questo ostacolo la Bce sta lavorando in due direzioni.
Innanzitutto sta preparando l’Unione bancaria europea con una revisione accurata della salute delle banche, stimolandole alla pulizia dei bilanci e alla ricapitalizzazione. L’operazione comincia a registrare evidenti successi, come si è visto dalle decisioni coraggiose prese dalle maggiori banche italiane nel redigere i loro bilanci del 2013, cancellando ingenti profitti con accantonamenti a fronte di prestiti che rischiano di non essere rimborsati puntualmente. Qualche segno di miglioramento si nota, anche in Italia, osservando come i prestiti «nuovi e buoni» stiano crescendo, anche se il loro aumento è in parte neutralizzato dal mancato rinnovo di quelli preesistenti, presumibilmente di qualità peggiore.
In secondo luogo la Bce sta sollecitando provvedimenti fiscali e regolamentari per favorire lo sviluppo del canale diretto di finanziamento con obbligazioni delle imprese, anche con la trasformazione di prestiti bancari in titoli trattabili sui mercati e acquistabili dalla stessa Bce.
Dal punto di vista italiano c’è una ragione speciale per sperare che l’inflazione torni a salire. La ragione è che dobbiamo ridurre rapidamente l’enorme e insostenibile rapporto fra debito pubblico e Pil. Anche se azzeriamo il deficit pubblico, tenendo così fermo lo stock di debito, il rapporto non scende se non sale il Pil. Il quale ha due componenti: la crescita reale e l’inflazione. La prima per qualche anno non potrà brillare, visto il difficile riordino generale della politica e dell’economia al quale dobbiamo procedere per tornare a crescere davvero. Serve dunque un po’ di inflazione per aiutare l’aumento del denominatore del rapporto. Se in uno o due anni portassimo la crescita reale un poco sopra l’1% e l’inflazione (italiana) salisse un po’ sopra il 2%, non servirebbero manovre straordinarie sul deficit per far scendere il rapporto debito/Pil, come ci siamo impegnati con l’Europa e come comunque ci conviene.