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 2014  aprile 04 Venerdì calendario

REQUIEM PER LA LEGGE 40


Èstata la decisione più bella che potessimo prendere, io e mio marito. Oggi Filippo ha sei anni, ed è mio figlio grazie al dono di un’altra donna. E io sono una madre felice». Filippo è uno dei figli dell’eterologa, cioè nato in seguito alla donazione di gameti (ovociti o spermatozoi) da parte di un individuo esterno alla coppia che non può avere bambini. Valentina, la sua mamma, ha scoperto a 36 anni di essere in menopausa precoce. L’unica strada per avere un figlio era dunque quella di chiedere aiuto a un’altra donna, che avrebbe prodotto gli ovociti che lei non aveva più. Una volta fecondati in vitro con il seme del marito, questi sarebbero stati reimpiantati nel suo utero. E lei avrebbe potuto cercare di diventare mamma in una delle ottime strutture del nostro paese.
Avrebbe, se sulla sua strada non avesse incontrato la Legge 40 che, dal 2004, ha messo fuori legge una pratica medica che in Italia era invece largamente diffusa, la fecondazione eterologa appunto. Così Valentina e suo marito, come altre centinaia di coppie italiane ogni anno, sono volati in Spagna, dove la tecnica è legale, ampiamente utilizzata, e costa diverse migliaia di euro. Ed è arrivato Filippo.
Tutto bene, dunque. Proprio no. Perché Valentina e il marito si sono resi conto che un loro diritto era stato comunque leso: insieme ad altre due coppie nelle loro stesse condizioni hanno fatto ricorso. E i Tribunali hanno rimandato la questione alla Corte Costituzionale. Così la mattina dell’otto aprile, nella sala delle udienze del Palazzo della Consulta a Roma, i quindici giudici della Corte (quattordici uomini e una donna) si riuniranno per decidere se la Legge 40 ha leso un diritto di Valentina, e di coloro che avrebbero voluto fare come lei ma non hanno potuto. E qui i supremi giudici potrebbero assestare un altro colpo a una legge, la 40, mal pensata, mal scritta e ormai sul punto di colare a picco sotto i colpi delle centinaia di coppie lese che hanno chiesto aiuto ai Tribunali. Una legge che, lo ricordiamo, è il risultato di numerosi rimaneggiamenti di altrettanti testi, a partire dal primo del 2002 firmato da Dorina Bianchi, e che, nella sua versione definitiva porta la prima firma dell’onorevole della Lega Nord, Giancarlo Giorgietti.
Il relatore Giuseppe Tesauro, grande internazionalista con un passato alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, esporrà alla Consulta i sui quesiti: il divieto di fecondazione eterologa è in contrasto con i principi costituzionali? Valentina, cui è stato negato nel suo paese l’accesso all’unica tecnica che avrebbe potuto renderla madre, è stata discriminata rispetto ad altre coppie la cui condizione di infertilità era meno grave? Essersi dovuta recare all’estero per un atto medico non consentito nel suo paese, ha esposto Valentina a dei rischi sanitari? «Abbiamo chiesto che fosse sollevata la questione di legittimità costituzionale perché a nostro parere, vietando l’eterologa, la Legge 40 viola il principio del diritto alla salute e il principio di uguaglianza», commenta Filomena Gallo, avvocato di una delle coppie che hanno fatto ricorso e segretario dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, che insieme a Gianni Baldini discuterà l’8 aprile il caso in Corte Costituzionale.
La questione è giuridicamente complessa, e gli avvocati che hanno portato nei tribunali italiani le incongruenze della Legge 40, fino ad arrivare alla Consulta, da tempo affilano le armi per il grande appuntamento. «In effetti», commenta Patrizia Borsellino, professore di Filosofia del diritto all’Università degli Studi di Milano-Bicocca: «Se la Legge 40 è finita davanti ai giudici una trentina di volte, il merito è delle coppie che non si sono arrese, delle associazioni dei pazienti che le hanno sostenute, e degli avvocati che hanno portato nelle aule argomentazioni chiare e convincenti».
Dopo la cancellazione di alcuni punti cardine della 40, infatti, (vedi box), quello dell’eterologa è uno degli ultimi divieti ancora in piedi. Eppure prima del 2004 l’eterologa era una pratica diffusa e socialmente accettata. «Di più, in questo settore l’Italia era all’avanguardia, ed erano gli stranieri che si rivolgevano a noi per la donazione di gameti», commenta Andrea Borini, ginecologo e presidente della Società Italiana di Fertilità e Sterilità (Sifes). A donare il seme erano ragazzi, studenti di medicina ma anche uomini che avevano affrontato il percorso di procreazione assistita con le loro compagne, e che volevano aiutare coppie in difficoltà. E tutto avveniva in sicurezza. I donatori erano sottoposti a screening genetico per evitare malattie trasmissibili o infettive, e ogni donazione non poteva dare origine a più di cinque gravidanze, secondo i criteri stabiliti dal Cecos, il Centro Studio e Conservazione Ovociti e Sperma Umani che raggruppa i maggiori centri privati di procreazione medicalmente assistita. Una compravendita di gameti, un mercato da far west, come spesso si è detto? «Per il disturbo – una giornata lavorativa persa, un viaggio in taxi per raggiungere il centro – i donatori ricevevano una piccola somma, circa 50 mila lire. Poi una direttiva dell’allora ministro della Sanità Rosi Bindi vietò ogni tipo di retribuzione. Ma le donazioni continuarono, ed erano sufficienti a coprire le richieste delle coppie sterili», continua il ginecologo. Per i gameti femminili, il dono arrivava invece dalle donne che stavano intraprendendo un percorso di procreazione assistita e avevano un numero di ovociti superiore alla loro necessità. E non ricevevano nemmeno uno sconto sul trattamento.
Oggi tutto questo non è più possibile. E gli italiani che hanno bisogno di queste disposizioni medicihe sono di fatto mandati all’estero, assumendosi costi e rischi. Perché la Legge 40, pur vietando l’eterologa, non punisce le coppie italiane che si recano all’estero per avere accesso a questa tecnica. Però, osserva Borini: «I medici che consigliano alle coppie sterili di andare all’estero, o indicano ai loro pazienti i centri più sicuri ed efficienti, per la stessa legge commettono un reato». Risultato: le coppie sono completamente abbandonate a loro stesse, e scelgono i centri esteri su Internet o grazie al passaparola, senza sapere a cosa andranno incontro.
E oltre i confini dell’Italia, lì sì che c’è il Far West. Anzi, il Far East, tanto è vero che alcune coppie sono tornate dai paesi dell’est europeo portandosi dietro un’infezione da Hiv o da Hcv, il virus dell’epatite C. Anche per questo, commenta Marilisa D’Amico, professore di Diritto costituzionale alla Statale di Milano che insieme agli avvocati Maria Paola Costantini, Massimo Clara e Sebastiano Papandrea l’8 aprile parlerà ai membri della Consulta: «Riteniamo che la Legge 40 violi l’articolo 32 della Carta, quello relativo al diritto alla salute. Perché questo esilio procreativo mette a rischio non soltanto la salute delle coppie, ma anche quella collettiva».
Il fatto poi è che, fanno notare gli avvocati che assistono le coppie, per quanto restrittiva sia la normativa italiana in materia di donazione di gameti, si intravvedono qui e là diverse incongruenze. Per esempio la Legge 40 stabilisce che possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita le coppie infertili o sterili. Ma per avere un figlio, una coppia sterile non ha altra strada che ricorrere all’eterologa, che però è vietata. Una contraddizione nella norma. Non solo: all’articolo 9 si legge: «Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (…) il coniuge o il convivente non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità della legge».
Dunque da un lato si vieta una tecnica, dall’altra si tutelano i bambini nati con questa tecnica. Dando per scontato che i cittadini italiani continueranno a farvi ricorso, magari andando all’estero. «Il numero di persone che potrebbero aver bisogno di ricorrere a questa tecnica è potenzialmente molto elevato», spiega Guglielmo Ragusa, ginecologo e dirigente medico dell’Ospedale San Paolo di Milano: gli uomini privi di spermatozoi e molti di quelli che ne hanno pochi e non riescono a concepire, e poi le donne infertili, in menopausa precoce, o quelle sottoposte a terapie oncologiche. Si potrebbe arrivare al 4,5 per cento degli italiani. «Escluderli dalle tecniche di fecondazione assistita», continua Ragusa: «È come dire loro: io ho la cura, ma decido che certe persone non le tratto.».
Insomma, la materia è quella del diritto alla salute, anche riproduttiva. E su questo già si è visto che la Legge barcolla. Da sottolineare, continua D’Amico: «È il riferimento alla decisione della Corte costituzionale n. 151 del 2009, che ha modificato la Legge 40, consentendo per la fecondazione omologa di produrre più di tre embrioni e di crioconservarli. In questa decisione la Corte ha affermato che esiste un valore, quello delle «giuste esigenze della procreazione», che non significa diritto a diventare genitori, ma diritto di rivolgersi alla scienza per provare a diventarlo».