Bristowofrome, ItaliaOggi 3/4/2014, 3 aprile 2014
IL CNEL NON HA MAI FUNZIONATO
«Un ruolo solo potenzialmente rilevante». Così si esprimeva anni fa a proposito del Cnel un noto manuale universitario di diritto costituzionale (tra gli autori, c’era Giuliano Amato). E se si diceva così nel 1996, figuriamoci nel 2014. Potenzialmente rilevante, il Cnel, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, lo è stato da sempre. Come certi buoni atleti, «promesse» che non sbocciano mai, che alla fine concludono la carriera, mestamente, nei campionati minori.
Non a caso, nell’ultima intervista concessa al Corriere della sera, Matteo Renzi lo ha usato come paradigma di un’Italia paludata: «Se non si deve costituzionalizzare la Camera delle autonomie, non per questo il Senato deve diventare «Cnel-2, la vendetta». Il Cnel è uno dei grandi fallimenti della storia repubblicana», ha detto.
A cosa dovesse servire, probabilmente, non era del tutto chiaro nemmeno ai Padri costituenti che lo vollero. Ma li si poteva capire: nella prima parte del secolo Ventesimo l’attività sindacale, laddove non era proibita, era ostacolata e marginale. L’Italia aveva già conosciuto un Consiglio Superiore del Lavoro e poi, in epoca fascista, il Consiglio delle Corporazioni. Dare alle organizzazioni sindacali un organismo di rilievo costituzionale, in cui fossero rappresentati il lavoro e le sue categorie, corrispondeva a un’epoca di classi sociali molto demarcate fra loro e con interessi molto difformi.
Ma il Cnel non ha mai funzionato. Avrebbe dovuto dare pareri a Governo e Parlamento in materia di lavoro ed economia. Avrebbe dovuto elaborare proposte di legge da sottoporre direttamente al Parlamento. I sindacati non hanno avuto alcun bisogno del Cnel. Essi hanno creato delle cinghie di trasmissione, più o meno esplicite, con i partiti politici. Sempre in maggior numero sono stati i dirigenti sindacali passati nei seggi del Parlamento o negli incarichi di Governo. E i sindacati hanno preferito sempre confrontarsi direttamente con i Governi, togliendo al Cnel qualsiasi giustificazione di esistere come istituzione rappresentativa degli interessi del mondo del lavoro e dell’economia.
Per quanto ridotti di numero, i 64 consiglieri del Cnel più il presidente sono troppi. Per alcuni dirigenti sindacali in pensione o trombati nelle lotte interne alla loro organizzazione è una «cadrega» dove svernano. Per altri è fonte di una indennità che, seppur non milionaria, garantisce al proprio conto corrente o – per loro stessa ammissione – a quello del sindacato che li ha designati una entrata. L’inutilità del Cnel è assoluta e plateale. Ogni tanto un convegno, una indagine conoscitiva, un qualche documento che nessuno prende in considerazione. I pareri, i sindacati al Governo li danno a mezzo stampa, mica nel Cnel.
Un po’ di vita la ha avuta quando a guidarlo era De Rita, il vulcanico fondatore del Censis. Dopo di lui hanno ripreso tutti a sonnecchiare: aiuta la collocazione, in una bella villetta nel cuore di Villa Borghese. Anche i rumori del traffico arrivano ovattati, figuriamoci quelli della crisi economica e sociale che scuote l’Italia e di cui il Cnel dovrebbe occuparsi.
Bristowofrome*
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