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 2014  aprile 03 Giovedì calendario

ENI NELL’ERA SCARONI HA RESO IL 61%


La sorpresa per la condanna dieci anni dopo i fatti di Porto Tolle, quando era ad Enel, e la soddisfazione per i risultati portati a casa dall’Eni in questi tre mandati, nonostante il deprezzamento del dollaro, le crisi geopolitiche e lo shock Saipem. Paolo Scaroni si è presentato così, ieri sera, all’audizione davanti alla commissione Industria del Senato, toccata già ai suoi colleghi di Enel, Terna etc. «Non ho parlato con il premier, Matteo Renzi, né col ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, dopo la condanna per la vicenda di Porto Tolle. Francamente mi aspettavo di essere assolto», ha detto Scaroni, «non mi è mai passato nell’anticamera del cervello di poter essere condannato per una cosa di cui non mi ha mai parlato nessuno, che è successa dieci anni fa, anzi non si è mai verificata perché non c’è mai stato nessun disastro ambientale. Immaginatevi com’è difficile spiegare queste cose agli stranieri». Gli «stranieri» però, non sono sembrati scossi dalla sentenza del tribunale di Rovigo, che ha condannato Scaroni a tre anni: proprio ieri è arrivata la conferma che il manager vicentino continuerà a sedere nel board del London Stock exchange, come amministratore non esecutivo.
Queste audizioni, si è visto, servono soprattutto a tracciare un bilancio dei mandati. Nel caso del suo, rinnovato già per due volte, Scaroni ha ricordato che dal 2005 a oggi Eni si è rivelato il maggior contribuente per lo Stato italiano, nelle casse del quale ha versato 29,7 miliardi di euro:12 miliardi di dividendi e il resto in tasse. Più del doppio dei dividendi versati insieme da Enel, Terna, e Finmeccanica.
Scaroni si è presentato davanti ai senatori accompagnato dai capi-divisione. «Eni non è Paolo Scaroni ma un insieme di persone», ha detto, prima di elencare i numeri di maggior interesse per gli azionisti. «In questi nove anni Eni ha reso agli investitori il 61%, i nostri concorrenti come Total, Shell, Bp o Repsol, il 53%, il settore utility solo il 16%. Il nostro gruppo ha fatto bene: non lo diciamo noi ma il mercato finanziario». Scaroni rivendica anche di aver dovuto alleggerire Eni dalla zavorra di «tutti i cadaveri della chimica italiana», finiti nel perimetro quando era ancora sotto controllo pubblico e tutte le società che fallivano ex lege venivano attribuite al Cane a sei zampe.
Quanto ai compensi, la voce nel mirino di Renzi, Scaroni ha percepito nel 2013 5,8 milioni di euro, il 24,8% in meno rispetto a quelli percepiti in media dai ceo delle principali oil major europee come Shell, Rp e Total. Nel 2012 la retribuzione complessiva (parte fissa, bonus annuale, attualizzazione degli incentivi di lungo termine attribuiti nell’anno ma non ancora erogati) era stata di 5,9 milioni, il 15,1% in meno rispetto ai colleghi europei. Nel caso di una mancata riconferma alla guida di Eni, gli spetterebbe una indennità integrativa composta da una parte fissa di 3,2 milioni di euro e una parte variabile calcolata sulla media delle performance del triennio 2011-2013, il trattamento previdenziale-contributivo per il rapporto di amministrazione parificato a quello dirigenziale, e 2, 2 milioni di euro per il patto di non concorrenza, a decorrere dal primo anno dopo la cessazione del rapporto. Nelle ore precedenti l’audizione, Scaroni era a Bruxelles, dove ha incontrato nuovamente il presidente del Mozambico, Armando Guebuza. Nel Paese africano Eni è operatore col 50% dell’area 4, con i giacimenti Mamba e Coral la più grande scoperta a gas nella storia del gruppo. Ora potrebbe venderne un ulteriore 15% ad altre oil company, con un incasso stimato in 5 miliardi di dollari. La decisione di allargare ad altri partner è stata apprezzata da Guebuza. L’advisor c’è già, Bofa Merril Lynch.