Giordano Tedoldi, Libero 3/4/2014, 3 aprile 2014
FREDDO, VITA SPARTANA E L’«ETERNO SILENZIO» SANT’ALBERICO CERCA UN NUOVO EREMITA
Chiunque ogni tanto sogna una vita da eremita. Lontani dalla confusione e dalle sgomitate della vita di città, dai rumori, dai fetori, dalla ricerca del parcheggio, dalle file, soprattutto dalle chiacchiere asfissianti e vuote. Sull’arco di pietra che sormonta il cancello dell’eremo di Sant’Alberico c’è una scritta, come si dice, eloquente: “Silenzio”. L’eremo si trova sul monte Fumaiolo, dove nasce il Tevere, vicino a Verghereto (provincia di Forlì e Cesena). Nel 2012 fu quasi sepolto da una nevicata formidabile, ma fra Michele Falzone, il francescano che vi conduceva, assieme a tre fratelli e al suo fedele San Bernardo, vita di meditazione e ascesi, se ne stava sereno e tranquillo nelle stanze della sua casupola riscaldata dal camino. Per lui l’isolamento dovuto alla neve non apportava nessuna novità, a quella solitudine era abituato, anzi, l’aveva cercata quando nel 2007, dopo una vita passata tra i conventi francescani di tutto il mondo, dall’Australia alla Nuova Guinea agli Stati Uniti, si era stabilito a Sant’Alberico. Ma ora l’eremo, costituito dalla chiesa, dalla casupola e dalle mura, è vuoto. Fra Michele è morto a gennaio, a 51 anni, per un tumore. Poco prima aveva incontrato papa Francesco, il quale aveva chiesto all’eremita se si sentisse sereno e lui aveva risposto: «No, sono felice, perché fra poco sarò con Dio». Poco dopo la sua scomparsa, anche il suo San Bernardo l’ha seguito, nella classica situazione in cui l’anima - le non riesce a sopportare la scomparsa del padrone. Il vuoto lasciato da fra Michele è più che mai spirituale, oltre che materiale. Era un uomo di eccezionale carisma che aveva trasformato l’eremo di Sant’Alberico in un luogo bensì di preghiera e ascesi, ma accessibile al mondo esterno, non solo mediante gli unici due sentieri da percorrere a piedi o, fino a un certo punto, in macchina, ma anche virtualmente, tramite un sito (www.eremosantalberico.it) che, col suo motto “Un eremo per tutte le stagioni” e la sua “gallery” fotografica può anche risultare kitsch (e in effetti lo è). Ma fra Michele sapeva che così avrebbe potuto più facilmente far conoscere l’eremo e raggiungere quanti desiderassero essere ospitati per un’esperienza di ritiro spirituale fatto di preghiera e di lavoro. Ma ora? Il vuoto lasciato dalla morte dell’eremita non può permanere, così entro Pasqua la diocesi, guidata dal vescovo Douglas Regattieri, sta vagliando le candidature per il prossimo eremita di Sant’Alberico, il successore di fra Michele Falzone. Le porte sono aperte a tutti: uomini, donne, anche laici. Finora i candidati sono tre, hanno più di quarant’anni e risiedono nella zona pur essendo esterni alla diocesi. Non stupisce che le candidature siano poche, non è facile, nemmeno per chi sia animato da grande fede, immaginarsi in una vita eremitica. La sveglia quando è ancora buio, le lodi mattutine, il silenzio, la visita al santuario, poi il pranzo, il ritorno all’eremo, i vespri, la cena frugale prima della compieta, l’ultima preghiera della giornata. E tutto ciò come scelta di vita, giorno dopo giorno, con gioia e convinzione, senza tentennamenti, proprio come per sette anni ha fatto fra Michele Falzone. Bisogna essere insieme moderni, a contatto con la contemporaneità, com’era fra Michele, ma con la disciplina e la vocazione ascetica di un uomo del medioevo, imperturbato dalla solitudine, dal silenzio, dal gelo, dalla scarsità di cibo, scaldato e rinvigorito solo dalla fede. La stessa origine dell’Eremo risale a un’epoca tra il quarto e quinto secolo, quando il romitaggio divenne una via privilegiata per raggiungere Dio, e quando era poco più che una grotta dove Sant’Alberico, secondo la tradizione, avrebbe trovato riparo dalle intemperie. Ma occorre avere anche cordialità umana, il dono dell’accoglienza per quanti, laici o sacerdoti, periodicamente salgono all’Eremo anche per un solo giorno, ospitati nelle quattordici cellette, per poi condividere le ore con l’eremita, oppure in solitudine. Eremita, oggi, è un termine usato quasi solo in senso figurato, invece ha ancora il suo significato originario, per pochi, pochissimi, forse solo tre. Ma in questi casi non è la quantità, ma il cuore che conta.