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 2014  aprile 03 Giovedì calendario

VERDI E PUCCINI DI MODA A PECHINO IL FUTURO DELLA LIRICA PARLA CINESE


Il Grand National Theatre di Pechino è una struttura rilucente (l’«Uovo gigante») acquattata alle spalle dell’edificio che ospita i congressi del Partito comunista e le sedute del Parlamento: la posizione proclama con imperiosa onestà le sue ambizioni. Che cominciano a prendere forma. Dal 2007 ha messo in cartellone 35 diverse produzioni, 26 delle quali d’opera. Gli investimenti sono corposi, sui 60 milioni di euro e il pubblico, scrive il South China Morning Post , è «per lo più di ventenni e trentenni». Basterebbe questo per sollecitare l’attenzione di noi occidentali, che vediamo sale da concerto e teatri spesso museificati, con pochi giovani. Ma c’è dell’altro. Pechino ha abbracciato una prassi lanciata dal Metropolitan di New York: registrazione delle rappresentazioni e trasmissioni in alta definizione. Una soluzione poi ripresa anche da altre istituzioni, alla ricerca di strategie per far fruttare nome, tradizione, allestimenti. Ingaggiate società europee, con le loro troupe specializzate (una è l’italiana Metisfilm Classica), il Grand National Theatre ha inaugurato il suo catalogo di produzioni in alta definizione con tre titoli italiani: Un ballo in maschera, Nabucco e, naturalmente, Turandot. L’idea è di procedere: spettacoli a teatro, registrazioni, commercializzazione in dvd e altri mezzi.
La potenza di fuoco economica di Pechino potrebbe nel medio periodo alterare le gerarchie di capacità produttiva dei teatri del mondo. La Scala resterà pur sempre la Scala, ma se il pubblico dell’opera in Cina è giovane o comunque più giovane che in Europa e in America, gli artisti potrebbero guardare con sempre maggiore interesse a città parvenue della lirica come Pechino. Andiamo verso un lento svuotamento della nostra tradizione? Forse non ancora. Però viene il dubbio che la Cina punti sulla progressiva trasformazione dell’opera da evento teatrale, dal vivo, a semplice matrice di un prodotto multimediale dalla fruizione globale e denaturata. Ma se fosse davvero così, quantomeno la Cina ci offre un mercato .
Marco Del Corona

@marcodelcorona
leviedellasia.corriere.it