Francesco Merlo, la Repubblica 3/4/2014, 3 aprile 2014
REATO DI FARSA
IL SARDO, il bresciano, il piemontese, il veneto, il forcone, il campano e il siciliano uniti per dividersi. I magistrati di Brescia, oltre che indagare, dovrebbero ripassare i film di Totò, Monicelli e Dino Risi.
QUI c’è infatti un malumore vestito da barzelletta più che una secessione armata. C’è l’infelicità italiana che condanna tutto lo strapaese del separatismo al pittoresco della commedia, persino salvandolo dal tragico delle armi, leggere o pesanti che siano. Anche il carrarmato è una ruspa col ringhio, come i motorini con la marmitta segata. E c’è una frase intercettata che inchioda i piani criminali alla maledizione dell’osteria: «Più che tagliare il salame abbiamo bisogno di caricare i candelotti di dinamite». E dove preparavano la rivoluzione i 24 briganti? In un ristorante del Bresciano, la provincia del Garda classico, rosso e sfuso: «Quando l’azione sarà fatta, sarà coordinata mezza Italia. Lo faranno anche i piemontesi, lo faranno anche i sardi, ciascuno nel loro sistema, ma sarà sincronizzato con la nostra, persino la Napulitanìa…».
Spesso i giudici sono costretti ad ingabbiare dentro gli articoli del codice anche i comportamenti più disordinati, e a trasformare in capi di imputazione persino certi disturbi che hanno bisogno di essere compatiti più che capiti. Ma non si può sempre normare il fuori norma e prendere sul serio anche la confraternita di tutti i secessionisti, l’unità italiana degli anti italiani: “l’alleanza” la chiamano, l’alleanza dei campanili che è uno scoppiettante ossimoro. Nella geografia sentimentale del separatismo italiano la Sicilia vuole seppellire i piemontesi invasori e annessori, e il Veneto sogna di liberarsi dei campani succhia- soldi…: «abbiamo bisogno degli scoglionati » è invece la comica parola d’ordine dell’Alleanza. Ma gli “scoglionati” sono, per significato letterale, i senza voglia, i disertori, i menefreghisti, gli accidiosi: si può organizzare un esercito di renitenti alla leva e puntare sulla virilità degli svirilizzati?
Ecco cosa i separatisti sognavano di dire agli italiani (quali?): «Andatevene dall’Italia e chiedete perdono per 147 anni di crimini, andatevene e vivrete, rimanete e morirete, perché noi instaureremo il terrore, sai come ci divertiremo noi! La mafia anche qua…». Ditemi se c’è più bisogno di curare o di arrestare, di infermieri o di carabinieri per questi separatisti unitari che vorrebbero diventare feroci come i mafiosi pur essendo “scoglionati” e cioè, come direbbe Camilleri, senza “cabasisi”. Ma se non ce li hanno, come possono mostrarli?
E già litigano sulla bandiera. Propone il padovano: «La nostra è il libro aperto, ma non ha la spada». Replica il bresciano: «Usiamo invece quella con la spada». E ne viene fuori una lunga gag sulla spada e sul libro aperto o chiuso. Poi si passa al carattere tipografico: sarà meglio il gotico o il lombardo?
La parola terrorismo, che è ipotesi di reato, evoca in Italia un mondo di torvi assassini, dai brigatisti di via Fani ai killer di Marco Biagi, molto distante dalle “velleità separatiste” di Franco Rocchetta che i cronisti politici romani hanno conosciuto bene, un uomo di marce e di zuffe, ex deputato ed ex sottosegretario, fondatore della Liga veneta ma espulso dalla Lega perché “antipadano”, una macchietta del separatismo che i suoi adepti chiamano “il letterato”, residuo marginale improvvisamente legittimato e trasformato dalla procura di Brescia nel Bobby Sands italiano.
Altri due arrestati, Luigi Faccia e Flavio Contin, sono veterani del putsch-burla, quello dei Serenissimi che nel 1997 salirono sul campanile di San Marco, già allora con un salame in borsa, e issarono la bandiera con il leone di Venezia. Anche all’epoca avevano costruito un carrarmato di cartone, il famoso “tanko Marcantonio Bragadin” targato VT MB che proprio il Contin, ora in galera, riscattò all’asta giudiziaria per 6674 euro e conservò, feticcio e cimelio dell’impresa eroica, nel capanno di casa, il garage della rivoluzione veneta.
Il “tanko” è la loro ossessione: «Finalmente è arrivato il pezzo». Chiamano “la cattedrale” il capannone dove lo costruiscono. E se andasse male? «Scriverò un libro come le Br». «Sì, fai casino e finisci in tv». Poi si dividono gli incarichi: «Tu vai al governo e io al Parlamento». E nella serata che chiamano “dell’investitura” fanno indossare a due giovani aspiranti, Tiziano Lanza detto Eddy e Stefano Ferrari detto “il truce”, i baschi dell’affiliazione: «Ma devo fare anche dei discorsi?». E c’è chi si assenta per una settimana e chi non può partecipare perché si sente influenzato. Somigliano ai pensionati di Piero Chiara: vino rivoluzione e carte. Hanno una politica estera: «Le basi Nato le lasceremo». Sognano di entrare con la macchina dentro Equitalia e uscire dall’altra parte; di far fuori «tutti i forestieri»; di fondare la Banca Nazionale veneta. Verrebbe voglia di liquidarli con qualche battuta salace se i giudici non avessero arrestato per terrorismo il folclore, lo stato d’animo, la bile sociale. Solo la galera può trasformare Rocchetta e i suoi seguaci nei Robin Hood dell’Italia che in fondo è ancora incompleta.