Francesco Manacorda, La Stampa 3/4/2014, 3 aprile 2014
INVESTIMENTI SBAGLIATI E PRESTITI FACILI, COSÌ SI SCARICA L’ENERGIA DI DE BENEDETTI
Un modello di capitalismo familiare che paga i costi di un investimento sbagliato e probabilmente anche quelli del tardivo inserimento - ottobre 2012, Monica Mondardini diventa amministratore delegato della Cir al posto di Rodolfo De Benedetti - di un manager esterno. Ma anche un modello bancario, guardacaso tutto italiano, che sconta la sua affezione a un sistema di capitalismo discretamente relazionale, piange adesso su crediti concessi con larghezza - su circa 1,9 miliardi di esposizione ben 600 milioni fanno capo al Montepaschi di mussariana memoria - e rischia forse di attuare un’operazione non abbastanza incisiva.
Nella grande partita a scacchi tra gli istituti di credito e la Cir (presidente esecutivo Rodolfo De Benedetti, presidente onorario suo padre Carlo) che controlla il 52,9% di Sorgenia per mettere in sicurezza la società energetica in profonda crisi, le ultime mosse sembrano vicine con un ultimatum che le banche si preparano a presentare già entro domani.
Ma in realtà alcune mosse decisive sono ancora tutte da tracciare sulla scacchiera delle trattative. La prima riguarda il prezzo di conversione delle azioni Sorgenia: se quei 600 milioni di debito che le banche sono disposte a scalare alla società attraverso la trasformazione in equity di 400 milioni e altri 200 milioni da legare a un prestito convertibile in azioni fossero equivalenti al 100% del capitale Sorgenia, allora per la Cir sarebbe davvero«game over» nella società energetica. Se per ipotesi invece quella stessa cifra si trasformasse solo in una partecipazione di minoranza, allora la Cir e i suoi azionisti di riferimento potrebbero cantare vittoria. Qualche voce degli ultimi giorni sostiene che i rapporti tra istituti e famiglia si sarebbero un po’ ammorbiditi: la percentuale di un’eventuale presenza bancaria nel capitale Sorgenia potrebbe dare presto un’indicazione sintetica dello stato dei rapporti.
Ma a monte della conversione rischia di esserci un altro problema. I seicento milioni che le banche sono disposte a scalare rappresentano poco meno di un terzo dell’indebitamento complessivo di Sorgenia. Probabile che nei calcoli degli istituti sia difficile o impossibile spingersi più in là, anche perché i debiti convertiti vanno di fatto cancellati dal bilancio. Ma in questo caso resterebbero comunque 1,3 miliardi di indebitamento in capo a Sorgenia. Nel suo nuovo piano industriale la società prevede di avere un Ebitda annuo di 110-120 milioni nel triennio che termina nel 2016. Dunque l’indebitamento sarebbe pari a circa 10 volte l’Ebitda previsto a medio termine. Una riduzione del debito sarà possibile attraverso la cessione delle energie rinnovabili, che le banche avrebbero già in programma, ma una parte importante per la capacità di rimborso del debito di Sorgenia potrebbe averla anche il capacity payment, ossia quella remunerazione data, con i soldi delle bollette, a quelle imprese energetiche che mettono la disposizione l’eventuale capacità delle loro centrali tradizionali. Si prevedeva che il ministero delle Attività produttive indicasse la misura di questa remunerazione per fine marzo, ma c’è qualche ritardo. E con il taglio delle bollette promesso dal premier alle piccole e medie imprese lo spazio per capacity payment forti sembra ridotto.