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 2014  aprile 03 Giovedì calendario

IL MERCATO DELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI


L’adozione internazionale per il governo italiano è cosa seria. Una coppia che vuole prendersi cura di un bambino straniero deve farsi analizzare sangue, conto in banca e metri quadrati di casa. Solo dopo aver superato mille esami, il tribunale per i minorenni rilascia il benestare. Da quel momento, però, marito e moglie vengono spesso abbandonati in una giungla, alla mercé di affaristi e faccendieri. Mentre le istituzioni se ne lavano le mani, anche quando ci sono concreti sospetti di truffe ai danni delle coppie, prosciugate nell’animo e nel portafogli. È il quadro realistico di un fenomeno che nel 2013 ha interessato 2.825 bambini di 56 paesi, adottati da 2.291 famiglie residenti in Italia, che in media hanno dovuto pazientare 4 anni e sborsare 25 mila euro. Per ogni coppia che adotta, però, ce ne sono almeno due che si arrendono, senza recuperare i soldi gettati in un mercato che vale oltre 160 milioni. E dove intoppi e scandali sono frequenti: com’è stato per 52 padri e madri italiani, a lungo bloccati in Congo sotto Natale, e rientrati senza figli. O per una trentina di famiglie cadute vittime di una truffa in Kirghizistan, con tanto di arresti in loco: l’Airone, l’ente savonese (con oltre 10 anni d’esperienza) che ha assistito gli aspiranti genitori, aveva coscienza dei rischi? Ha fatto il possibile per evitarli? A queste domande cerca ora di dare una risposta la Procura di Savona. Nell’attesa dei risultati delle indagini, la Commissione adozioni internazionali (Cai), l’organo governativo cui spetta vigilare, ha revocato l’autorizzazione all’Airone. Resta il fatto che sul «business» dei bimbi stranieri adottati (in media 5 anni e mezzo d’età) giocano troppe anomalie, mentre molti dubbi si proiettano sui controlli delle istituzioni.
Ma partiamo dall’inizio. I genitori candidati, sposati da almeno 3 anni, presentano «dichiarazione di disponibilità» al tribunale per i minorenni, più una serie di documenti: dalla sana e robusta costituzione fino a busta paga e fedina penale. Carabinieri e Asl verificano che ogni coppia abbia «capacità di educare, istruire e mantenere il figlio adottivo». È una trafila estenuante. Alla fine il tribunale valuta tutto ed emette il decreto d’idoneità. Alessia, un’aspirante madre, racconta: «Sono venuti a casa poliziotti e assistenti sociali, abbiamo fatto incontri alla Asl; poi siamo andati dal giudice e dagli psicologi...». Anche Laura e il marito, tra le vittime del caso Kirghizistan, si sono sottoposti allo screening: «Esame tossicologico, fedina penale, livello sociale; devi dimostrare di avere una vita cristallina». Nel caso di Laura sono passati 13 mesi, per Alessia quasi 20.
Si passa alla fase operativa. Ogni coppia ha davanti 66 enti autorizzati dalla Cai. Ne deve scegliere uno entro un anno, pena la decadenza del decreto. Ogni ente ha i suoi costi, indicati in un tariffario più o meno chiaro. All’iscrizione si paga una cifra fissa, sui 3.500 euro. Ma ricominciano gli esami. «L’ente ci ha rifatto gli stessi corsi della Asl, con lo stesso materiale informativo » sostiene Alessia. «La psicologa ha messo in dubbio la nostra capacità genitoriale, alla faccia del decreto del tribunale, e ci ha proposto altri 5 incontri a 150 euro l’uno. Mancavano 3 mesi alla scadenza, per fortuna abbiamo trovato un altro ente». Quindi nuova iscrizione, in totale 7.500 euro, e siamo ancora ai blocchi di partenza.
L’alto costo delle pratiche è uno dei problemi. Prendiamo un’altra coppia: Marco e Lucia. Si rivolgono a un ente, il costo ufficiale per l’adozione in Ucraina è 7.700 euro. Versano i primi 4 mila, poi altri 6 mila, e già sforano a 10 mila; ma l’adozione non va a buon fine. Così virano sulla Polonia, dove il costo tabellare è 6.900 euro, con maggiorazione del 20 per cento nel caso di adozione di 2 fratelli. Alla fine tornano a casa con i 2 bambini, ma il conto è di 14.200 euro tra Ucraina e Polonia. Più la quota d’iscrizione, si sale a 17.700; con 3 viaggi in Polonia, il totale supera i 25 mila euro. Ma non tutti hanno la fortuna di Marco e Lucia; in troppi restano sospesi. Alessia, per esempio: «Noi abbiamo scelto uno stato africano» racconta. «L’attesa è stata cieca e muta, per quasi 5 anni. Poi ci hanno comunicato l’abbinamento a un bimbo e chiesto 5 mila euro per avviare le pratiche». Sommati ai precedenti 7.500, fanno 12.500 euro. Passa un altro anno: Alessia e marito ricevono il via e, felici, partono per l’Africa. Qui però scoprono che il bambino ha gravi malformazioni. La decisione di rinunciare è drammatica, sofferta. Ora sono di nuovo in attesa, dopo 7 anni e circa 15 mila euro spesi.
Perché è così caro adottare un bimbo? Ufficialmente, per pratiche e traduzioni. Ma in Polonia, per esempio, il costo burocratico non dovrebbe superare i 3.500 euro, come da tariffario dell’Ordine degli avvocati. Altri 2 mila vanno in notaio e marche da bollo, e 500 in autista e interprete. Totale: 6 mila euro. Il problema è che spesso viene chiesto il doppio. L’altro problema è che quando la coppia entra in contatto con il referente estero dell’ente, è alla sua mercé: richieste di soldi in nero, offerte di uteri in affitto, a volte ricatti e minacce. L’anello debole è lui, il referente estero: viene scelto dall’ente italiano, ma nessuno controlla che sia persona degna. La Cai invia una richiesta d’informazioni all’ambasciata del paese interessato con un modulo standard: un mero passaggio burocratico, se è vero che nessuno è stato mai bocciato.
Ma torniamo al caso Kirghizistan. Nel 2012 molte coppie si affidano all’ente Airone. «La partenza veniva sempre rinviata» racconta Laura. «Poi la bimba a noi assegnata risultava abbinata a una coppia americana, con tanto di foto su internet. Noi scrivevamo alla Cai, ma dicevano che era tutto in ordine». Altre coppie scoprono irregolarità. Intanto accade qualcosa che Laura e gli altri non sanno, ma che Panorama può documentare. Nel marzo 2012 un altro ente italiano che cerca di operare in Kirghizistan pubblica un allarmante comunicato sul sito internet. Questo: «La nostra speranza di adottare in Kirghizistan si è rivelata difficile (...). Il referente locale, tale Alexander, ha continuato a chiedere denari (…). Dopo l’ultima richiesta dal sapore ricattatorio di 8.000 euro, tempo 2 ore per inviarli, abbiamo deciso di sospendere (…). Crediamo indecente proseguire con questo mercato dove contano solo i bonifici. Abbiamo chiesto l’intervento della Cai, visto che la pratica è stata avviata con altre 2 associazioni, Airone e Bambini dell’arcobaleno».
La denuncia è forte, ma sparisce dal sito dopo 3 giorni. Perché? Il presidente dell’ente riceve una raccomandata dal legale dell’Airone: «La mia assistita ha ottenuto l’accreditamento verso il Kirghizistan dopo essersi sobbarcata pesantissimi oneri» scrive l’avvocato, intimando la cancellazione del testo dal sito, pena una citazione giudiziaria. Il giorno dopo arriva la telefonata di una responsabile della Cai, che chiede di togliere il comunicato perché rischia di generare panico. Il presidente dell’ente obbedisce; poi parte per Roma, si fa ricevere dai vertici della Cai e conferma loro quello che ha denunciato online. Delle sue parole resta traccia nel verbale dell’incontro, su carta intestata della presidenza del Consiglio con la firma dell’allora vicepresidente della Commissione, Daniela Bacchetta: «Una nostra impiegata che sa bene il russo ha chiamato Alexander per avere informazioni sulla sovrapposizione di abbinamenti (dei bambini, ndr) rispetto a quelli degli americani. L’ha sentito titubante, poi ha assicurato che non sono gli stessi, per concludere che se ne troveranno altri per noi». Il documento rivela che l’Airone e la Cai nel 2012 sapevano di avere a che fare con intermediari inattendibili, ma non hanno fatto nulla. La vicenda si conclude nel 2013 con una truffa ai danni di circa 30 coppie e con lo scoppio dello scandalo in Kirghizistan: con l’arresto del ministro dello Sviluppo sociale, Ravshan Sabirov; della referente locale dell’Airone, Venera Zakirova; e la fuga del misterioso Alexander, ancora latitante.
Ora la Procura di Savona indaga. L’Airone, peraltro, si dichiara parte lesa: «nel processo penale che si sta svolgendo nel tribunale di Biskek siamo stati riconosciuti parti offese». «Le loro responsabilità invece sono evidenti» attacca Pierfrancesco Torrisi, avvocato di una delle coppie che hanno denunciato il caso, «perché ci ha messo nelle mani di un delinquente e non ha presentato neppure richieste formali di adozione. Il governo kirghizo ci ha confermato che i figli presentati non erano adottabili, così i miei clienti hanno perfino rischiato un’incriminazione per sottrazione di minori e traffico internazionale di bambini. Con l’avallo della Cai, che non ha fatto i controlli».
Presidente della Commissione è Matteo Renzi, in quanto presidente del Consiglio; la sua vice «operativa» è Silvia Della Monica, ex magistrato e oggi parlamentare del Pd, che è succeduta a Daniela Bacchetta e si è appena insediata. «Sono qui da troppo poco per dare risposte su situazioni pregresse» dice a Panorama, gentile. «Ho trovato una commissione che funziona e grande slancio da parte di quanti ne fanno parte. Nel caso del Kirghizistan abbiamo revocato l’autorizzazione all’Airone. Comunque la Cai va rilanciata, e ci vogliono fondi adeguati». Sicuramente anche molti, molti controlli in più.