Marianna Aprile, Oggi 2/4/2014, 2 aprile 2014
DEL MIO CORPO NON BUTTO NIENTE
Parigi, aprile
I 392 mila followers che Claudia Galanti ha su Instagram non volevano crederci. E sarebbe stato meglio, perché quando ci hanno creduto non l’hanno presa benissimo. In effetti la foto che la showgirl ha pubblicato pochi giorni dopo la nascita, a Parigi, della sua piccola Indila Caroline, ha dell’incredibile. Apparentemente innocua (Claudia sexy che beve un... frullato) era accompagnata da una didascalia che la rendeva deflagrante: «Il meglio per il mio corpo me lo dà il mio corpo. Mi nutro della mia placenta! Per l’umore, per la pelle…e per la mia principessa» (seguono traduzione in spagnolo e in inglese).
CHI LA TRASFORMA IN ARTE, CHI IN CIBO
Si chiama placentofagia ed è una pratica che la stessa Galanti ha scoperto solo giunta al terzo figlio. All’estero è più nota e diffusa che in Italia, al punto che il New York Times di recente ha persino dedicato un articolo ai (tanti) usi della placenta umana. C’è chi la usa per realizzare peluche o gioielli; c’è un’artista olandese che ne fa delle stampe (www.dse.ne/jipje) e sulla sua pagina dà anche indicazioni su come farsela a casa (sic); ci sono aziende che la raccolgono per liofilizzarla e farne capsule ricostituenti; c’è chi, seguendo i dettami della filosofia nota come Lotus Birth, la lascia attaccata al neonato aspettando che sia il cordone ombelicale a staccarsi una volta che la placenta si è seccata. E, ancora, c’è chi la cucina, chi la frulla e anche chi, per festeggiare il nuovo nato, organizza pranzi in cui la serve ai familiari mescolata con altri ingredienti. E via così. Le domande, a questo punto, sono due: perché improvvisamente ci si occupa così tanto di placenta? E poi, fa davvero bene come scrive la Galanti?
EFFETTI CONCRETI, MA…
«La placentofagia è una pratica arcaica, in uso tra le popolazioni primitive, per le quali aveva una funzione fondamentale, biologica, cui nel corso del tempo se ne sono aggiunte altre due: simbolica e placebo», dice la professoressa Alessandra Graziottin, direttore del Centro di Ginecologia dell’Ospedale San Raffaele Resnati di Milano. Cominciamo dall’inizio, ovvero dagli effetti biologici connessi al consumo di placenta. «È un tessuto ricco di ferro, prezioso per contrastare l’anemia, che aumenta il rischio depressione, anche quella post partum. Il ferro, inoltre, è coinvolto nel metabolismo della dopamina, neurotrasmettitore che regola la cosiddetta “via appetitiva” (la voglia di vivere, di fare), il movimento e l’azione, e il pensiero logico lineare», aggiunge Graziottin. La placenta, insomma, era per le nostre arcaiche progenitrici un concentrato di ferro, oligoelementi e amminoacidi che rappresentava una vera iniezione di benessere proprio nel momento più critico della loro vita.
QUEL PONTE SIMBOLICO COL BEBÈ
L’uomo, però, è un animale che tende a elaborare significati simbolici, di cui col tempo ha ammantato anche la placentofagia. «Era inevitabile le si attribuissero significati simbolici. La placenta è ciò che nutre il bambino, ma anche ciò che può ucciderlo, se qualcosa va storto. E poi, è la radice del cordone ombelicale, ovvero del ponte biologico tra madre e figlio. Mangiarla dopo il parto rappresentava, quindi, anche un modo per “distruggere” questo ponte biologico tipico della gestazione e “metabolizzarlo” per porre le basi di quel ponte affettivo che caratterizza il rapporto madre-figlio dopo il parto».
SE PENSI FACCIA BENE, LO FARÀ
Infine c’è il terzo effetto della placentofagia, quello placebo: «In Occidente, oggi, una donna ben seguita in gravidanza non ha bisogno di rimettersi in forze mangiando placenta, né di cibarsene per elaborare il legame col proprio figlio. Se lo fa, è perché pensa le faccia bene, che abbia conseguenze positive. Un effetto placebo, appunto», dice Graziottin. Ma è davvero solo autosuggestione o è anche una moda? «Più che una moda, la placentofagia è espressione di un fenomeno più ampio. Il livello di sofisticazione della società ha raggiunto livelli tossici, e una parte della società stessa reagisce con una ricerca delle origini che si manifesta anche in altri comportamenti, come il ritorno alla terra, la “dieta paleolitica” a base di semi e frutti col guscio».
Un bene quindi? «Un bene se è un segnale di consapevolezza e comportamenti coerenti: non ha senso cibarsi di semi o mangiare placenta se poi si fuma o non si conduce una vita davvero sana e consapevole». A proposito di moda, come comportarsi con la placenta liofilizzata in vendita su Internet? «Dei prodotti acquistabili on line non sappiamo quasi mai nulla; per esempio, sui sistemi di preparazione e conservazione utilizzati. A chi fosse davvero incuriosito dagli effetti della placentofagia, consiglio quindi di parlarne col proprio medico, senza affidarsi ciecamente alla Rete e al passaparola».