Marina Cappa, Vanity Fair 2/4/2014, 2 aprile 2014
HO AMATO MOLTE MELE
[Intervista a Umberto Orsini] –
quando scende dal taxi, abbronzato e in giubbotto sportivo, nessuno gli darebbe gli 80, che invece sono arrivati, il 2 aprile. Quando poi si mette a raccontare, con quella voce dal timbro profondo e suadente, capisci perché le donne (una in particolare: 37 anni, aspirante attrice) per lui continuino ad avere un debole. Lo si vede anche a teatro, dove interpreta da protagonista Il giuoco delle parti di Pirandello, e dove le sale di tutta Italia (a Roma è rimasto 4 settimane all’Eliseo, cosa che non capita mai) sono sempre piene. Riassumere la carriera di Umberto Orsini è difficile: un’apparizione nella Dolce vita di Fellini, una splendida doppietta – La caduta degli dei e Ludwig – con Visconti, uno sceneggiato di enorme successo, i Karamazov, tantissimo teatro. Oggi è anche presidente della giuria del Premio Riccione per il teatro e ha scelto di avere una propria compagnia: così è libero di crescere giovani attori e scegliere i testi che ama. D’altra parte, se è complicato riassumere quasi 60 anni di carriera in poche righe, anche condensare gli amori di Umberto Orsini non è impresa semplice.
Lei ha fatto tantissime cose, ma cominciamo da una che non ha fatto: i figli.
«Non ho rimpianti, anche perché questo è un mestiere crudele. Come diceva il mio amico Gianni Santuccio: un attore deve essere orfano e sterile».
Non sarà facile.
«Io non ho mai sofferto di solitudine e depressione. Sono amato e amo, adesso c’è una persona molto carina al mio fianco».
Giovane?
«Abbastanza. Se da giovane ami le mele, continuerai ad amarle, i tuoi gusti non invecchiano con te».
Vedere invecchiare le donne amate, come Ellen Kessler, con la quale è stato per vent’anni, che effetto fa?
«A volte provo tenerezza. A proposito di amori: in maggio porto in teatro a Milano La ballata del carcere di Reading, dove Wilde dice: “Ognuno uccide la cosa che ama, ma non tutti vanno a morire”, c’è chi ama poco, chi troppo, e chi uccide i sentimenti».
Lei ha amato troppo o poco?
«Forse troppo poco, mi sarei potuto lasciar andare di più, non l’ho fatto in nome di un senso di libertà».
Ha avuto molti amori «paralleli»?
«Succede, se sei legato con una donna “pubblica” e non la vuoi sputtanare».
«Pubblica» come Ellen Kessler?
«Sì. Quando ero fidanzato con lei ho conosciuto Vanessa Redgrave, che era bellissima. Abbiamo avuto una storia di pochi mesi, breve ma intensa».
Le è mai capitato di confondere una gemella con l’altra?
«All’inizio, chiesi chi fosse libera. Alice stava con Enrico Maria Salerno, Ellen era libera. Quando ci siamo rivisti dopo anni siamo andati a giocare a golf. C’era un gregge di pecore e lei si è messa a belare. Non ricordavo quanto fosse divertente».
Eppure, quando vi eravate lasciati poi Ellen non le ha parlato a lungo.
«Mi ero innamorato di un’altra: non me l’ha perdonato per molto tempo».
Glielo aveva confessato?
«No, mi sono fatto cogliere in fallo al telefono. È difficile lasciare una persona che è innamorata: sai che le fai del male, e non sai quando finirà di soffrire. Mentre se vieni lasciato, il dolore lo gestisci tu».
È stato lasciato spesso?
«Una volta».
In tutta la vita?
«Sì, da Rossella Falk. Per lei feci a pugni con Renato Salvatori. Ma poi mi lasciò per Pietro Barilla. Mentre ero a Capri, abbandonato, vidi una donna bellissima, la scambiai per Rossella e mi innamorai».
Quanto conta la bellezza?
«È il fascino che conta. Spesso mi sono innamorato delle attrici con cui ho lavorato. Io vorrei amare un’infermiera, ma solo una volta sono stato con una non attrice: un magistrato. Le donne sono state molto importanti nella mia vita, nessuna però mi ha fatto cambiare direzione».
Visconti ha provato a farle cambiare direzione?
«No. Allora stava con Helmut Berger, attore bravissimo che ha fatto una fine pessima, di alcol e solitudine. Ho visto l’ascesa e la discesa di tanti. Pensi alla Loren: a 17 anni era orrenda, è diventata bellissima e sofisticata. Spesso giocavamo a poker, c’era anche Celentano, e vinceva lei».
Ci sarebbe andato a Hollywood?
«Qualcosa ho fatto, un film con Rod Steiger. Quando poi lui è venuto in Italia, l’ho battuto a tennis, così mi ha dato un biglietto: “Steiger, sconfitto a tennis ma vincitore di un Oscar”».
Lei è bravo a tennis?
«Abbastanza. Il mio amico Nicola Pietrangeli però mi dice sempre: “Avrei dato i miei due Roland Garros per fare quello che hai fatto tu con la Kristel”».
Sylvia Kristel, con cui ha fatto due Emmanuelle.
«Io avevo già fatto teatro, ma in quel periodo nessuno mi chiamava. Mi offrono il sequel di Emmanuelle, come marito della Kristel. Leggo il copione, per vedere come lavorare: tutta una scopata. Il primo giorno, lei viene in camerino e mi dice: “Scusa, quando io ti vengo sopra tu coprimi bene le fesses con le mani perché ho un po’ di cellulite”. In realtà era di una bellezza strepitosa. Per lei avevo preso una notevole sbandata».
Sylvia era fedele al marito?
«Per niente. Ma al secondo Emmanuelle si era fidanzata con un altro che l’aveva rovinata, riempita di coca. È successo anche a Laura Antonelli. Con lei, prima che facesse Malizia, ho girato Incontro d’amore a Bali, però il regista non volle farle fare scene di nudo, diceva che aveva il seno molle. Poi, quando è uscito Malizia, abbiamo rimesso mano al film e inventato una storia parallela con scene di nudo con un’altra».
Chi era l’altra?
«Cicciolina. L’ho scelta perché aveva un bel culetto. Ed era intelligente, più di tante che si prendevano troppo sul serio. Per esempio, quando ho girato Funerale a Los Angeles, tutti a dire che la mia partner Angie Dickinson aveva le gambe più belle di Hollywood: io, mezzo nudo, me la vedo venire incontro, ma si era messa un collant, perché le cosce le ballonzolavano. Certo, stavo con una Kessler e di gambe me ne intendevo. Però non mi prenda per un playboy: non lo sono mai stato. Piuttosto, dica che sono stato l’unico sciuscià del Nord».
In che senso?
«Io sono di Novara, e nel ’45 ho guadagnato 1.800 lire vendendo le sigarette degli americani. Mi sono comprato un portafoglio, l’ho messo in tasca e l’ho perso. Da allora non ne ho più avuto uno, nonostante le fidanzate continuassero a regalarmene».
È vero che sua mamma era cuoca?
«Sì, e io sono l’antesignano dei programmi sulla cucina, ho inventato Colazione allo studio 7 con Luigi Veronelli. Ho smesso quando per strada hanno cominciato a chiedermi: cosa mangiamo domani? Lo stesso con gli spot: Colgate mi ha fatto un super contratto, ma una sera in teatro una ragazzina mi ha chiesto l’autografo sul tubo di dentifricio, e ho smesso».
È bravo a cucinare?
«Sì, ma non cucino cene allargate. Mi piace nutrire la persona che amo».