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 2014  aprile 03 Giovedì calendario

ROCCHETTA, L’IDEOLOGO DEL MOVIMENTO (CON SCHEDA BIOGTAFICA)

Sul portone della villetta di Flavio Contin c’è un mosaico con il leone di San Marco. L’elettricista in pensione che fu capo dei Serenissimi teneva il Tanko originale parcheggiato nel cortile, sotto un tetto di canneti, ma in bella vista. «Ogni tanto ci lasciava salire sopra i miei nipoti» racconta il suo amico Mario Zamarin davanti all’azienda familiare di laccatura mobili, dall’altra parte della strada provinciale.
Certe volte la storia si ripete, spesso come ulteriore farsa. Anche questo carroarmato dei poveri è un manufatto artigianale, una vecchia escavatrice Fiat Allis del 1980 con evidenti tracce di ruggine sulla fiancata. La replica era in un capannone abbandonato nella zona industriale. Quando sono arrivati i carabinieri per portarlo via, hanno tribolato una mezz’ora buona per metterlo in moto.
A Casale di Scodosia è una giornata come tante, solo con molto traffico di «foresti» in più. Il paesino nella bassa padovana che fu impero veneto del mobile artistico ha i suoi possedimenti dimezzati, da cinquecento aziende che c’erano all’inizio del nuovo secolo oggi ne restano solo 224. Il signor Mario, ex lagunare, «prima che anche l’esercito si riempisse di meridionali», invita a fare il giro dei bar, che in tutto sono tre. «Non ascolterà nessuna condanna. Sotto sotto siamo tutti con loro. E poi non sono mica Al Qaeda».
Se c’è da tenere insieme passato e presente, è qui che si comincia. Dal parcheggio del Tanko alla piazza dove un Franco Rocchetta non ancora maggiorenne pitturava frasi in dialetto contro la partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale c’è una distanza di cinquanta metri al massimo, coperta proprio da un capannone di arredamenti rustici. Era il 1966, la parabola dell’uomo che ha dedicato la sua vita al «Tornar paròni a casa nostra» cominciava dalle scritte notturne sui muri, quasi sempre scelti davanti alla chiesa.
L’ideologo dell’indipendentismo veneto è al tempo stesso il nome più rispettato nei piccoli centri dove ribolle la voglia di andarsene e l’ingrediente più noto del minestrone di questa congiura da strapaese. Fin dai tempi del liceo classico, al Marco Polo di Venezia, l’autonomia dei popoli è stata la sua ossessione. A un allibito professore presentò una tesina che metteva a confronto la fama di Venèssia in Europa con quella dentro i confini patri, schissàda, schiacciata, dalla propaganda napoleonica-giacobina e poi dall’odiato Stato piemontese-italiano. Bocciato.
Ma Rocchetta non si è mai lasciato abbattere dai rovesci della sorte, come conviene a chi crede in un ideale superiore. La parola Liga se la portò dietro dal Sessantotto di Danzica, dove era andato pochi giorni prima dell’invasione sovietica per dire agli studenti polacchi che la loro voglia di libertà dall’Urss era identica, la stessa cosa di quella dei veneti sottoposti al giogo italiano. Si iscrisse a Lotta Continua come prosecuzione della sua lotta con altri mezzi. Nel 1969, alla guida di una flottiglia di pescherecci che battevano la bandiera autonomista del Leone di San Marco al posto di quella rossa, bloccò una petroliera che stava per raggiungere Porto Marghera. La sua Liga, la prima in Italia, entrò in contatto con un tale Umberto Bossi della Lombardia. Insieme condivisero notti sulla sua vecchia 1100, i muri della bassa rodigina e padovana tornarono a riempirsi di scritte, anche le pareti di qualche montagna. Un parlamentare del Pci fece una interrogazione chiedendo se dietro «all’irredentismo veneto» ci fossero i servizi segreti e i loro potenti mezzi. «E invece gero solo mi che me rampegavo su come un gato».
Sono quei lontani tempi di semina il patrimonio ideologico dell’autonomismo veneto. Il resto della storia è una nota a margine. Gli anni «romani», così li definisce un gruppo di ragazzi al bancone del bar Marsotto, sul viale principale di Casale di Scodosia. L’aggettivo è simbolo di corruzione, di ideale contaminato. «Doveva restare con noi». L’unione di Liga e Lega produce un fenomeno politico. Rocchetta diventa il presidente della nuova creatura, addirittura sottosegretario agli Esteri del primo governo Berlusconi.
Ma Bossi e Rocchetta hanno idee simili e diverse. Litigano nel dicembre 1993, al bar, il «Macedonia» di Mira. Il patriota veneto vede intorno a sé troppi adepti dell’ultima ora. Si batte contro l’istituzione di una sede centrale della Lega Nord, perché la considera una scelta sprezzante verso i principi federalisti. Non accetta i compromessi che Bossi gli prospetta sotto forma di qualche cucchiaino di m... da ingerire. La notizia della sua espulsione dalla Lega Nord gli viene comunicata mentre si trova a Bilbao, a un convegno sulle autonomie.
Da allora fonda a giorni alterni piccole leghe, come la Nathion Veneta, ma l’onda del successo è ormai passata. Rocchetta continua a battere i mercati e le sale di paese, si fa rivedere accanto ai promotori del referendum sull’indipendenza. Il serenissimo Contin ha la sua foto con dedica nel tinello di casa. L’ultima intervista da uomo libero è simile alla prima, datata 1972. «La Repubblica Veneta non è mai morta. Ogni tanto si inabissa, ma non è che se non la vedi non esiste più».
È riapparsa ieri, in un punto incerto tra parodia e minaccia. Domani chissà. Uno dei ragazzi appena usciti dal bar Marsotto fa cenno di avvicinarsi. Si solleva la camicia. Sotto c’è una maglietta bianca con lo stemma del leone di San Marco.
Marco Imarisio

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Le origini
Franco Rocchetta è nato 66 anni fa a Venezia. Vive a Colle Umberto (Treviso)
La formazione
Da giovane si iscrive al Pri, poi al Pci, quindi milita in Lotta Continua. Nel ‘68 va nella Grecia dei Colonnelli con alcuni leader postfascisti
La carriera politica
Negli anni 70 è l’ideologo della Liga Veneta che creerà dieci anni più tardi e che si unirà alla Lega Lombarda per formare nell’89 la Lega Nord. Ma nel ‘94 viene espulso
La nomina e il ritorno
Il fondatore diventa sottosegretario agli Esteri nel primo governo Berlusconi. Ritorna in primo piano durante il referendum indipendentista online del Veneto