Ninni Andriolo, L’Unità 2/4/2014, 2 aprile 2014
«NON RIAPRIREMO IL PATTO CON FI SULLE RIFORME»
ROMA «Il dialogo con la principale forza d’opposizione continua, ma io auspicherei che sulle riforme costituzionali si sviluppasse un confronto anche con il Movimento 5 Stelle, che costituisce un’importante parte del Parlamento».
Onorevole Delrio, lei è il sottosegretario alla prosidenza del Consiglio ed è considerato il braccio destro del premier. Forza Italia vi accusa di aver rotto il patto sulle riforme e chiede un nuovo incontro Beriusconi-Renzi...
«Mi pare che Berlusconi abbia confermato che si sente ancora impegnato nell’appoggiare le riforme, non vedo la necessità di rinnovare continuamente un impegno preso in modo solenne e pubblico. Il dialogo deve continuare e continuerà. Non serve che ogni due giorni d sia una dichiarazione di rivisitazione di patti già presi».
Prima la riforma del Senato e poi l’italicum quindi, la direzione non cambia?
La direzione è stata presa, nel senso che il tema della riforma del Senato è prioritario anche per rendere più credibile la legge elettorale».
E il Senato riuscirà ad autoriformarsi e a varare l’italicum entro il 25 maggio?
«Noi stiamo lavorando tantissime ore al giorno. Sono convinto che anche il Parlamento si rende conto dell’urgenza. Ho molta fiducia, ho visto i parlamentari impegnarsi molto intensamente nelle settimane scorse».
Si ma molti senatori chiedono di poter discutere senza fretta.
«Credo che il tema sia quello della volontà di concludere un percorso che non deve avere nulla di frettoloso, ma non deve nemmeno diventare un luogo di palude o un’occasione per ricatti e veti incrociati. Abbiamo ben presente che stiamo cambiando la seconda parte della Costituzione e che stiamo cercando di darle un assetto più moderno, in linea con ciò che auspicavano già molti Costituenti. Stiamo cercando anche di correggere alcune storture insorte coll’interpretazione del Titolo V e la sua applicazione».
Corsa contro il tempo prima della campagna elettorale che di fatto è già iniziata.
«Già da queste prime settimane si capirà se c’è una volontà seria di procedere, o se ripartirà il solito antico vizio italiano del “benaltrismo” e della sacralità dello status quo. Noi abbiamo fatto un patto con la nostra maggioranza e con l’opposizione, quello di cambiare regole del gioco che vanno riscritte insieme. Ci può essere naturalmente una diversa sensibilità su alcune questioni, anche se io ho parlato per tanto tempo con esponenti di varie forze politiche. Partiamo da un punto di condivisione molto alto, perché c’è stato a monte un lavoro importante dei saggi nominati dal Quirinale, del Comitato insediato dal governo Letta, eccetera. Il nostro lavoro si inserisce nell’ottica di tutto ciò e segue quei consigli».
C’è chi parla di testo improvvisato tuttavia.
«Stiamo parlando di un testo piuttosto solido, tutt’altro che improvvisato. È chiaro che ognuno può dare un ulteriore contributo, ma non vorrei che persone che hanno partecipato magari alla stesura di documenti con gli stessi contenuti, si inventassero poi obiezioni che prima non c’erano. E non vorrei che questo si verificasse soltanto perché quel testo lo ha presentato il governo. I contributi vanno bene, ma vorrei ricordare ancora il lunghissimo percorso che ha preceduto la stesura del progetto di legge. Quel percorso è stato recepito in tantissime parti».
Un testo blindato, a questo punto?
«Ci sono alcune questioni non rinunciabili. Se si parla di queste il confronto è difficile da sostenere, se si parla di altro invece il dialogo è aperto. Tra l’altro sono previste due letture sia alla Camera che al Senato, e non mi sembra quindi che manchino il tempo e [‘occasione per un confronto».
Tra le strade che il governo considera impraticabili c’è l’elezione diretta dei rappresentati delle Regioni.
«Nel mio disegno di legge su province e città metropolitane, per fare un esempio, l’elezione diretta stravolgeva il senso degli organismi di area vasta, cooperativi e non competitivi. Se si vuole andare verso elementi semplificati e si vuole avere ruoli come quelli del Bundesrat tedesco, che si riunisce una volta al mese, il Senato non va pensato come una mini Camera, ma in modo diverso».
Se il riferimento è alla Germania perché la rappresentanza paritaria di Regioni e sindaci?
«La proposta che presentiamo è largamente condivisa dalle autonomie nel loro complesso. Certo uno può dire che i Consigli regionali hanno più attitudini legislative. Non stiamo parlando di un Senato che deve fare leggi in continuazione però, ma di una Camera Alta che deve valutare alcune tipi di leggi e gli effetti che queste avranno rispetto al mondo delle autonomie, n problema centrale non mi sembra quello dell’equilibrio tra consiglieri regionali e sindaci».
Luciano Violante apprezza la proposta del governo, ma parla di scarto di rappresentanza tra Camera e Senato e pone un problema complessivo di contrappesi. L’assunto è che grazie all’Italicum un partito che conquista il 30%, o anche meno, può diventare “il dominus” del governo, dell’elezione del Capo dello Stato, del Csm, e così via.
«Obiezioni come quelle del presidente Violante sono serie e forniscono materia su cui riflettere. Non voglio anticipare nulla, adesso. Mi sembra che il presidente Violante, però, ponga problemi che costituiscono il senso del lavoro che va fatto nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Considero il suo un contributo utile alla discussione. Il ricorso preventivo alla Corte costituzionale da parte di minoranze, l’attenzione a non determinare squilibri di garanzia costituzionale sono temi che vanno affrontati. Credo che il Parlamento li valuterà con grande attenzione. Siamo di fronte a contributi positivi, nel senso che dicono “rimpianto va bene, la riforma va fotta, ma stiamo attenti a questi nodi”. È il segno di un dialogo costruttivo che aiuta a determinare una decisione e non rimane accademico».
Molte fibrillazioni nel Pd e nella maggioranza. La stampa registra i numeri che mancherebbero al Senato per varare la riforma. L’allarme lo ha lanciato il presidente Grasso, ma è stato richiamato alla disciplina di partito.
«Nessuno si appella alla disciplina di partito, ma stiamo discutendo di onestà e responsabilità verso i nostri elettori. Il segretario del Pd ha fatto le primarie dicendo che se fosse stato eletto avrebbe portato a casa alcune riforme, a nome del Pd e per il bene del Paese. Il percorso che sta facendo questo governo è coerente rispetto a impegni presi anche da parte del Partito democratico. Un segno di rispetto verso i cittadini, le forze sociali ed economiche del Paese che da anni invocano queste riforme, i numerosi gruppi di studio che si sono avvicendati, la determinazione del Capo dello Stato. Confrontiamoci nel merito, ma senza mettere in discussione la direzione di marcia. Se qualcuno approfittasse di questa occasione per altri calcoli riporterebbe la credibilità della politica italiana ai minimi storia, e si assumerebbe la responsabilità di alimentare il populismo che non aspetta altro per dimostrare che questa politica è incapace di autoriformarsi».