Stefano Micelli, Il Sole 24 Ore 2/4/2014, 2 aprile 2014
LA MANIFATTURA AI TEMPI DEL BIT – [IL DIGITAL MANUFACTURING PREFIGURA UN CAMBIO DI PASSO CON L’EMERGERE DI UNA NUOVA GENERAZIONE DI PMI, CRUCIALE PER L’ITALIA]
Lo scorso novembre il Salone dei Beni culturali di Venezia (dal titolo "Cultura è manifattura") ha ospitato un esperimento interessante. Grazie al sostegno di un produttore di stampanti 3D, è stato possibile produrre gioielli su misura in 24 ore. Nello stand all’ingresso del Salone gli studenti del master del Politecnico di Torino disegnavano al Cad, sotto lo sguardo di tanti curiosi. Nel primo pomeriggio le stampanti producevano i modelli "sacrificali" per la fusione in cera persa, la tecnica tradizionale di produzione del gioiello. Nel tardo pomeriggio i modelli, verificati e rifiniti, partivano per i laboratori del distretto di Vicenza. La mattina dopo il gioiello (in ottone rodiato, a onor del vero) veniva presentato a chi ne aveva fatto richiesta.
Il merito dell’esperimento è stato quello di aver esemplificato le potenzialità della rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo. La saldatura fra digitale e manifatturiero, resa particolarmente evidente dalla diffusione delle stampanti 3D, produce risultati sorprendenti. I gioielli su misura (come i vestiti, i mobili, le automobili, le macchine utensili, etc.) sono sempre esistiti. In passato, però, la possibilità di accedere a un mondo "su misura" era privilegio per pochi. La rivoluzione del digital manufacturing prefigura un cambio di passo: le nuove tecnologie consentono una flessibilità produttiva e margini di personalizzazione fino ad ora sconosciuti. Permettono un rapporto fra la domanda e offerta molto diverso da quello sperimentato in passato.
Per dare valore economico alle potenzialità di questi nuovi strumenti di produzione è necessario ripensare i modelli organizzativi e gestionali consolidati. La rete ha già inciso sul modo di operare delle imprese, questo è vero. In molti casi, tuttavia, le nuove tecnologie hanno "vestito" un modello produttivo e gestionale ancora profondamente radicato sui presupposti della fabbrica tradizionale. Abbiamo imparato a rinnovare i linguaggi pubblicitari, passando dall’advertising ai video virali; abbiamo imparato a disintermediare la distribuzione facendo leva sul commercio elettronico; abbiamo ottimizzato la gestione delle scorte sincronizzando ordini e acquisti di materie prime. Tutto ciò, però, senza mettere in discussione il processo produttivo in senso stretto, le sue logiche e, soprattutto, le sue rigidità.
Oggi il web diventa lo strumento necessario per dare forma a modelli organizzativi coerenti con le potenzialità delle nuove tecnologie. I nostri gioiellieri potranno comprare i metalli e le pietre preziose nel momento in cui il cliente decide l’acquisto. Potranno pensare a nuovi spazi commerciali dove, al posto di bacheche blindate, troveremo schermi di computer su cui guardare alle varianti del gioiello che abbiamo in mente. Potranno navigare alla ricerca di progetti di nuovi talenti del design per fare un regalo originale. E questo non vale, ovviamente, solo per i gioielli. Vale in genere per la maggior parte dei prodotti del nostro made in Italy più consolidato, dall’abbigliamento ai mobili, dagli accessori per la casa alle macchine utensili.
Chi saranno i protagonisti di questa nuova rivoluzione manifatturiera? Che tipo di impresa sarà in grado di trarre il massimo vantaggio dalle trasformazioni in atto? Non è facile fare previsioni. Volendo semplificare un quadro piuttosto complicato è possibile tracciare due scenari fra loro molto diversi.
Un primo scenario considera l’arrivo delle tecnologie del digital manufacturing come l’ultimo capitolo di un processo di automazione avviatosi nei tre decenni. In questa prospettiva, le stampanti 3D segnano la tappa conclusiva di un percorso di razionalizzazione delle attività produttive in cui pochi grandi gruppi industriali faranno uso delle nuove tecnologie procedendo a un’ulteriore espulsione di forza lavoro dalle imprese, in particolare nelle economie avanzate. Le implicazioni sociali di questo processo sono importanti. Come segnala l’economista americano Tyler Cowen nel suo ultimo libro Average is over, la diffusione di queste tecnologie contribuirebbe in modo determinante alla fine della classe media, vittima del divario crescente fra una ricca élite educata e imprenditoriale e una vasta maggioranza della popolazione costretta a una vita low cost.
Un secondo scenario possibile prefigura invece l’emergere una nuova generazione di produttori, principalmente di piccola e media dimensione, che si candida a proporre una nuova idea di manifattura, in grado di mescolare opportunità tecnologiche e saper fare consolidato, creatività individuale e cultura dei territori. Questi produttori, artigiani high tech proiettati nel globale, potranno scommettere sulla loro capacità inventiva (come i maker americani), candidandosi a ricoprire il ruolo di apripista in comparti completamente inesplorati dell’economia (dalla produzione di droni alle wearable technologies). Oppure potranno investire sul rilancio di tradizioni manifatturiere consolidate all’interno di nuovi scenari tecnologici e di distribuzione (come nel caso dei gioielli su misura di cui abbiamo parlato prima). In entrambi i casi, la tecnologia ritorna al servizio di progetti individuali e comunitari che si distinguono in modo netto dal paradigma economico e sociale della produzione di massa. La varietà vince sulla standardizzazione, la distribuzione del reddito sulla concentrazione della ricchezza (a tutto vantaggio della qualità della vita democratica).
Per il nostro Paese, essere protagonisti di questo secondo scenario è una questione cruciale. Non solo perché la nostra economia ha bisogno di consolidare la pluralità dei soggetti che contribuiscono al nostro export commerciale (400 miliardi nel 2013), ma anche perché l’Italia in passato ha già saputo promuovere un modello innovativo di manifattura coerente con un’idea di società sostenibile. È questa una delle grandi sfide su cui si gioca la credibilità culturale oltre che economica del nostro paese.
Stefano Micelli