IAnnalena Benini, l Foglio 02/04/2014, 2 aprile 2014
SINCERITA’
Quando scriviamo una lettera, un messaggio, una mail, dovremmo pensare alla possibilità che quel messaggio resti per sempre, e un giorno venga letto da altre persone, oltre al destinatario, e magari, perfino, messo insieme a tutti gli altri messaggi, tutte le altre lettere, tutto ciò che qualcuno ha conservato di noi (per odio o per amore). Amabili resti, o semplicemente prove di corteggiamenti, ossessioni, antipatie: è meglio quindi far sparire ciò che ci svela troppo meschini e implorare chi ha fra le mani il nostro ritratto impietoso costruito con sms o con schermate di chat, di cancellare, dimenticare ogni frase, ogni foto. Oppure, rassegnarsi al romanzo e ai pettegolezzi (più probabilmente al disinteresse assoluto) e lasciare, come Elia Kazan, regista americano e scrittore nato in Grecia (diresse fra gli altri film La valle dell’Eden, Fronte del porto, Splendore nell’erba, Gli ultimi fuochi) milleduecento lettere private, dense di pettegolezzi e di considerazioni: le lettere sono state ridotte a trecento, stanno per diventare un libro, pubblicato in America da Knopf, e svelano il punto di vista su Hollywood e sulla necessità di non perdere troppo tempo in articolate bugie, in scuse romanzesche. A Kazan non importava molto essere gentile (e nemmeno di essere amato dai colleghi e dai collaboratori: aderì al comitato McCarthy e fece molti nomi di colleghi, secondo lui comunisti). Disse a Marlon Brando che tutto quell’ingrassare avrebbe rovinato la sua carriera: “Quelli della Warner Bros dicono che stai diventando terribilmente pesante”, scrisse nel 1967 a Brando, che aveva scoperto e diretto in Fronte del Porto e in Un tram chiamato desiderio, che aveva vinto un Oscar come miglior attore protagonista anche per aver detto: “Potevo diventare un campione. Potevo diventare qualcuno, invece di niente, come sono adesso”. Secondo Kazan, Brando si avvicinava pericolosamente a tornare a essere niente: “Io non so se tu vuoi davvero tornare a essere com’eri – per quanto riguarda il peso, è molto difficile dopo i quaranta, lo so per esperienza personale. Se non ti conoscessi non ti prenderei mai in considerazione”. In realtà Brando continuò a ingrassare per anni, poi fece Il padrino, ma Kazan era stato schietto, e non smise di esserlo mai, nemmeno nelle lettere che scriveva alla moglie per scusarsi di averla tradita. Nel 1955, quando Marilyn Monroe aveva 29 anni, Kazan scrisse a Molly, la sua prima moglie che gli dispiaceva moltissimo averle fatto del male avendo una relazione con il sogno erotico di tutto il mondo, ma che non poteva sentirsi in colpa: insomma, lei era Marilyn: “Lei era talentuosa, divertente, indifesa, vulnerabile, non mi vergogno per niente… di essere stato attratto da lei”. Di certo il fatto che non fosse una vera discussione, ma parole su un foglio di carta, magari spedite dentro una busta con francobollo, con il tempo necessario a far sbollire l’ira, aiutava il coraggio di Kazan nello spiegare alla moglie che doveva dargli ragione: Marilyn non era un tradimento, Marilyn era un pezzo di storia americana ed era una tentazione irresistibile. “E comunque lei non è quella donna tutto sesso che raccontano”, spiegò Kazan a Molly, forse per consolarla (però non le scrisse mai: sei meglio tu). Disse anche che Marilyn era una “toccante patetica trovatella”, picchiata spesso da Joe Di Maggio, anche poco dopo aver girato la scena con la gonna svolazzante sopra l’aria della metropolitana in Quando la moglie è in vacanza. Scrivere lettere è sempre pericoloso: si rischia di dire la verità.
ANNALENA