Gianna Fregonara; Orsola Riva, Corriere della Sera 2/4/2014, 2 aprile 2014
I RAGAZZI ITALIANI CHE RISOLVONO PROBLEMI
C’è da far funzionare un elettrodomestico o comprare biglietti del treno a una macchinetta? Un quindicenne italiano se la cava benissimo. Bastonati dal test Ocse-Pisa in matematica, lettura e scienze, i nostri ragazzi si rifanno nel problem solving , la capacità di affrontare i problemi della vita reale e trovare soluzioni.
A volere essere ottimisti, si potrebbe leggerla come la rivincita degli ultimi della classe. Bastonati dal test Ocse-Pisa sulle competenze dei quindicenni in matematica, lettura e scienze, i nostri ragazzi si rifanno alla grande nel cosiddetto «problem solving», la capacità di affrontare i problemi della vita reale e trovare le giuste soluzioni. Lontani mille miglia in tutte le materie dai «soliti» asiatici che veleggiano in media due anni avanti a noi europei ma indietro anche rispetto ai campioni del Nord Europa (Finlandia in testa), i quindicenni italiani vanno molto meglio di quanto ci si aspetterebbe nei test che misurano la loro intelligenza pratica e adattativa, che poi altro non è che la versione più evoluta (e complessa) della buona vecchia «arte di arrangiarsi». C’è da far funzionare un elettrodomestico o comprare dei biglietti del treno a una macchinetta? «No, problem»: un quindicenne italiano se la cava benissimo. Meglio anche di un tedesco, per capirci. E il risultato medio (510 punti contro una media Ocse di 500) dipende soprattutto dalla performance inattesa di quei ragazzi che in matematica vanno male o malissimo. Sono proprio loro ad andare molto meglio del previsto nei test relativi al «problem solving».
Potenzialità inespresse
Come interpretare questo exploit a sorpresa? Da un lato — e questa è senz’altro una buona notizia — i nostri ragazzi si dimostrano sorprendentemente «resilienti»: sanno rispondere bene alle difficoltà che la vita pone loro dinnanzi. E il merito, a sentire gli esperti Ocse, sarebbe anche del nostro variegato curriculum scolastico che, spaziando fra materie molto diverse, apre la mente dei ragazzi (con buona pace dei teorici della specializzazione a tutti i costi). Dall’altro, però, se vanno così bene nel «problem solving», vuol dire che molti di loro potrebbero andar molto meglio anche in matematica. E da questo punto di vista la nostra scuola si rivela ancora troppo nozionistica e troppo poco stimolante e perciò incapace di sfruttare appieno le loro potenzialità.
Nord Italia al top
Se si guardano i risultati scorporati per regioni, si vede come il Nord Italia, che in matematica se la batteva con le capolista europee, nel «problem solving» addirittura morda le tigri asiatiche: una performance stellare, davanti anche ai primi della classe canadesi e finlandesi. Con una differenza: mentre a far di conto sono più bravi i ragazzi del Nordest (514 punti contro una media italiana di 485 punti), nel risolvere problemi sono più svegli quelli del Nordovest (533 punti contro i 527 del Triveneto). Va detto però che anche il Sud sprofonda meno che nelle materie curricolari (486 punti nel «problem solving» contro i 446 in matematica): sotto il Portogallo ma più di trenta punti sopra la Turchia (con cui, invece, se la batte in matematica).
I maschi e le femmine
Niente di nuovo sotto il sole sul fronte del gap fra maschi e femmine. Se già in matematica le nostre ragazze se la passano male (sotto di 18 punti contro una media Ocse di 11), nel «problem solving» le cose vanno anche peggio. Nel senso che in Italia i maschi hanno il doppio di probabilità di andar bene delle femmine (contro una media Ocse di 3 a 2). Anche in questo caso, appare determinante il fattore culturale, leggi: la mancanza di autostima. Come altrimenti spiegare, se non come un blocco psicologico, il fatto che le ragazze vadano decisamente meglio nei test di «pianificazione e esecuzione» (dove si applicano le conoscenze acquisite) che in quelli, più astratti, di «rappresentazione e formulazione», che richiedono una maggiore capacità di improvvisazione?
Il «peso» delle origini
Buone notizie, invece, sul fronte del «peso» della famiglia. In generale, nel «problem solving» le origini familiari si fanno sentire meno che per le materie curricolari e in particolare in Italia il condizionamento socioeconomico è meno marcato che nella media Ocse.
Il computer non basta
Un ultimo dato che offre interessanti spunti di riflessione è quello relativo all’uso delle nuove tecnologie a scuola. Il loro impatto varia da Paese a Paese. È positivo in 11, negativo in sei, irrilevante in 16, fra i quali l’Italia. Il che dimostra che dotare una scuola di computer, tablet o Lim non basta a farla funzionare meglio, come in passato non bastavano lavagne di ardesia, gessetti e matite. Dipende, naturalmente, dall’uso che se ne fa.
Gianna Fregonara; Orsola Riva