Cesare Martinetti, La Stampa 2/4/2014, 2 aprile 2014
“VALLS È IL RENZI FRANCESE CHE PUÒ SALVARE HOLLANDE”
[Marc Lazar]
Marine Le Pen potrebbe davvero diventare leader del primo partito la sera dello scrutinio europeo, dice Marc Lazar, ma il vero interrogativo di oggi è se e come Manuel Valls, neo primo ministro, riuscirà a raddrizzare la barca del governo Hollande che esce quasi affondata dalle elezioni municipali. Lazar, politologo, docente a Sciences-Po di Parigi e alla Luiss di Roma è nella posizione migliore per ragionare della politica in Francia e coglierne tutte le suggestive analogie con l’Italia.
Manuel Valls, un uomo della destra del partito potrà salvare la sinistra francese?
«François Hollande non poteva fare altrimenti, è stato costretto, come fu costretto Mitterrand nell’88 quando dovette nominare primo ministro Michel Rocard, il suo grande avversario nel partito. In questo momento Valls è l’unico socialista popolare. Per una volta Hollande va fino in fondo».
Certo, Valls è una scelta molto radicale. Ma i due si capiscono?
«Hanno un accordo di fondo sulle grandi linee di politica economica annunciate a gennaio dal presidente. Quelle non cambiano e hanno una piena sintonia sull’Europa».
Hollande a gennaio si è dichiarato «socialdemocratico», una parola che fa ancora alzare qualche sopracciglio nella sinistra francese. Ma Valls è socialdemocratico?
«Ha un’identità politica più complicata. Appartiene alla sinistra liberale per la sua attenzione a valorizzare l’individuo, per la piena accettazione dell’economia di mercato e dell’Unione europea. Ma è anche un giacobino che crede nel ruolo dello Stato, nei valori della Repubblica, nella necessità di integrarsi per gli immigrati anche in funzione della sicurezza».
E che differenze ci sono tra i due?
«Allora, diciamo che oggi in Europa ci sono grosso modo tre possibili risposte della sinistra alla crisi. Quella classica: facciamo come si faceva nel passato, più tasse, più protezione sociale, eccetera. Poi ci sono i modernizzatori che si collocano nella classica tradizione socialdemocratica e tra loro vi è Hollande. Valls appartiene ancora a una terza posizione, di quelli che si spingono oltre i confini della sinistra, come ha fatto Blair, per capirci. E come ora si muove Renzi».
Aveva anche proposto al Ps di cambiare nome. Come voleva chiamarlo?
«Partito democratico, lui è molto interessato all’esempio italiano. Ecco, se teniamo il filo di confronto con l’Italia diciamo che se Valls sta a Renzi Hollande sta a Bersani».
Ci sono rischi per il governo?
«Vedremo domani (oggi, ndr) il punto di equilibrio che riusciranno a trovare e con che tipo di maggioranza. I due ministri ecologisti hanno già annunciato che non vogliono stare in un governo con Valls, ma questo non vuol dire, perché si trova sempre un Verde disponibile a gestire un portafoglio ministeriale».
E la sinistra socialista?
«Ecco quello è il punto. Che farà Benoît Hamon, ministro delegato all’Economia sociale e solidale, uomo immagine della sinistra socialista nel governo? Non credo che ci saranno rotture: sono tutti su una stessa nave che sta navigando malissimo. Sosterranno il governo, pur suonando una musica diversa».
Professor Lazar, a conti fatti il Front National ha poi vinto quattordici municipi di città medio piccole, difficili anche da memorizzare per chi non conosce la Francia profonda. È giustificato tutto l’allarmismo che si è fatto intorno al partito di Marine Le Pen? È stata una vera vittoria?
«Sì, io credo che sia stata una vera vittoria. La grande novità è che queste elezioni hanno rivelato un vero insediamento locale del Front. Finora il partito viveva sulla visibilità delle elezioni presidenziali. Ora ha messo radici nel territorio».
Ma la media dei voti, dove sono state presentate le liste del Front, non è stata superiore a quella delle presidenziali e cioè intorno al 15 per cento. Perché dice che è cresciuto?
«Perché ha aumentato i voti nella due zone classiche, il Sud e il Nord-Est e ne ha presi dove era quasi totalmente assente, l’Ovest, per esempio, la Bretagna. Ora vedremo cosa faranno questi eletti. Le precedenti esperienze di sindaci frontisti, negli Anni 90, sono state disastrose».
Peserà molto nel voto europeo?
«Penso di sì, in questo momento gode di una forte dinamica. Marine Le Pen, con molta abilità politica, domenica scorsa, commentando i risultati, ha detto ai suoi elettori: appuntamento al 25 maggio. E ha annunciato: noi saremo contro l’Umps, che è l’unione delle sigle dei due partiti entrambi europeisti, l’Ump, la destra repubblicana e il Ps, il partito socialista. È un argomento fortissimo».
Lei pensa davvero che il Front di Marine Le Pen, come diceva un sondaggio di qualche mese fa sulle intenzioni di voto, potrebbe essere il primo partito di Francia alle europee?
«È possibile. L’altro dato molto forte di queste elezioni è stato l’assenteismo che ha battuto tutti i record. Tradizionalmente le municipali sono elezioni con un’alta partecipazione perché il rapporto tra elettori ed eletti è diretto e decisivo. Il segnale partito dalla Francia suona dunque come un avvertimento a tutta Europa. Ed è un vero rischio».
Però se torniamo ai numeri delle elezioni municipali, se il grande sconfitto è il Partito socialista, il vero vincitore è l’Ump. Una sorpresa?
«Sì, l’Ump ha vinto come aveva vinto la sinistra nel 1977, le elezioni che poi prepararono la vittoria di Mitterrand. E si tratta di una vera riconquista di territori, sono apparsi quadri nuovi, sindaci giovani, il partito si sta ricostruendo come l’alternanza possibile».
Ma chi lo guiderà?
«Ecco, questo è il vero problema. Jean-François Copé, l’attuale leader che rivendica il merito della vittoria? Alain Juppé, il vecchio saggio, trionfalmente rieletto sindaco a Bordeaux già al primo turno?».
O Sarkozy, che si muove in chiaroscuro, giocando con la barba lunga di due-tre giorni forse per rievocare la sua discesa in campo nella corsa all’Eliseo cominciata con la battuta: ci penso ogni mattina mentre mi rado?
«Tutto è possibile, vedremo».